Leonardo Varriale

Circo

Leonardo Varriale

Destinazione

Addis Abbeba - Ethiopia

Periodo
-
Partito
Il progetto (e info su ente)

IL PROGETTO

L'African Circus Festival è il primo festival di circo Africano, organizzato dalla compagnia Fekat Circus ad Addis Abbeba. Vi partecipano gruppi provenienti da tutta l'Africa, tra i quali anche Zipzap circus. Questo evento rappresenta una possibilità unica di crescita, scambio e confronto di esperienze, nonché il seme di innumerevoli collaborazioni lavorative ed artistiche. Parteciperemo al festival come volontari ed artisti, poi ci sposteremo a Capetown, dove passeremo un periodo di creazione creazione e ricerca collaborando con Zipzap circus e con la compagnia italo-sudafricana Parolabianca.

ENTE OSPITANTE

Il Fekat Circus, che in amarico significa "circo fiorito", è nato nel 2004 alla periferia di Addis Abeba, per iniziativa di un gruppo di giovani etiopi uniti da una profonda ed unica relazione di fratellanza e valori positivi. Erano cresciuti in un sobborgo di Addis Abeba e avevano avuto la fortuna di familiarizzare con il circo fin dalla tenera età. Condividevano un sogno comune: creare un circo con giovani che non avevano mai immaginato di stare su un palcoscenico della loro vita. fekatcircus.com

Intervista

Entrambi vi occupate di circo. Secondo voi cos’è il circo nel 2018 e come vi siete avvicinati a questo mondo?

A: Il mio incontro con il circo è avvenuto, direi, per caso; ero interessata infatti al teatro fisico, per questo motivo ho sostenuto diversi provini per entrare in una scuola di teatro e mi sono imbattuta nella Galante Garrone di Bologna dove, dopo aver visto la mia prova di danza, gli insegnanti mi hanno consigliato di seguire il percorso di Nouveau Cirque. Non sapevo bene cosa fosse, ho visto uno degli spettacoli degli allievi della scuola e ho capito che quel linguaggio era molto vicino a quello che stavo cercando. Il circo contemporaneo è secondo me una realtà ancora in cerca di definizione ed identità e, forse, proprio per questo, incredibilmente interessante. Si porta dietro le caratteristiche, positive e negative, del circo tradizionale per com’è e per come si è definito nell’immaginario comune, ma al tempo stesso vuole liberarsi proprio da quei confini limitanti, attingendo alle altre arti, contaminandosi con il teatro e la danza. Ne viene fuori un panorama piuttosto vario dove ogni compagnia, con la propria ricerca e il proprio percorso, aggiunge un tassello alla storia di questa arte antica e giovanissima al tempo stesso.

 

L: Mi sono avvicinato al mondo del circo grazie a una piccola comunità spontanea di giocolieri che mi ha fatto scoprire il piacere di imparare in gruppo, di mettersi di fronte a delle sfide sempre più grandi, di viaggiare e di utilizzare un linguaggio praticamente universale: il gioco e il movimento. Ho poi seguito alcuni corsi alla neonata Scuola Romana di Circo e qualche anno dopo sono partito per il Belgio per studiare all’Ecole de Cirque de Bruxelles con l’intento di portare questa passione a un livello professionale. 

Il circo nel 2018 è, in qualche modo, quello che è sempre stato: una possibilità in più, una seconda occasione. 

È una risorsa artistica da cui tutto il mondo dello spettacolo dal vivo sta attingendo sempre di più. 

È un elemento culturale che si è diffuso, con le ovvie differenze, letteralmente in tutto il mondo, offrendo a bambini, ragazzi, adulti, artisti, sportivi, sfaccendati o professionisti di ogni genere, la possibilità di trasformarsi e trovare il proprio modo per sentirsi ed essere stra-ordinari: fonte di meraviglia per se stessi e per chi li guarda.

 

Come è nata la vostra collaborazione?

A: La nostra collaborazione è nata dall’incrocio delle nostre vite, lavorative e personali. Ci siamo conosciuti perché ho seguito un workshop di aerea nello spazio gestito da Leonardo a Roma, Bigup, che mi ha subito colpito perché è uno spazio molto fervido e ben gestito, con un’identità molto forte nonostante si trovi in una città grande e piena di altre realtà concorrenti. La comune provenienza circense, contrapposta a percorsi personali molto diversi, ci hanno portato ad entrare, per quanto possibile, l’uno nella realtà dell’altro: io mi sono affacciata al mondo del circo sociale e della pedagogia circense accompagnando Leonardo a diversi eventi e meeting (come il meeting nazionale degli operatori di circo organizzato da Giocoleria e Dintorni) e lui si è reso disponibile a contaminare la sua formazione con il teatro e la danza, seguendomi in diversi workshop e condividendo con me delle esperienze di scena, come il progetto di teatro sociale “Sandokan Parade”, realizzato con la compagnia di teatro danza Zaches Teatro.

 

Amalia, oltre al circo di occupi anche di teatro e danza. Secondo te queste sono davvero separati l’uno dall’altra o si possono unire e mescolare, creando nuove discipline?

Credo di essere l’esempio vivente che questo mix di discipline è più che possibile! Collaboro con diverse compagnie che, sempre più spesso, mi cercando e apprezzano in me proprio la molteplicità delle mie competenze; l’ultima collaborazione è per lo spettacolo “Moby Dick”, del Teatro dei Venti, dove sono in scena con altre 15 persone, e il cast è davvero variegato, ci sono attori, trampolieri, acrobati, ed ognuno ha messo a disposizione le proprie “abilità” per la creazione. Sta poi molto spesso al regista – certo supportato dalle capacità attoriali ed interpretative del performer, che secondo me sono indispensabili e imprescindibili - la capacità di fare di questa varietà un punto di forza e non una debolezza 

 

Leonardo, oltre che performer sei anche insegnante. Secondo te cosa attrae i giovani d’oggi al mondo del circo, spesso ancora legato agli stereotipi del secolo scorso?

Quello che ho notato è che ognuno arriva ad avvicinarsi al mondo del circo portandosi dietro un immaginario totalmente differente, frutto delle esperienze vissute.

Mi piace credere che l’aspetto più attraente sia il senso di leggerezza, di libertà, di creatività e al tempo stesso di disciplina che viene espresso dagli artisti di circo, ed è quello che cerco di promuovere come insegnante. Un aspetto molto sentito per i giovani che si avvicinano al circo, è senza dubbio il desiderio di trasformare la propria “immagine” per sé e per chi li guarda; poi c’è la curiosità di scoprire qualcosa di insolito, di carpire il segreto del “come si fa”, di trovare un gruppo di persone che si relaziona in modo collaborativo e non competitivo, un luogo in trovare il proprio posto, qualunque esso sia.

La vostra residenza si terrà ad Addis Abbeba. Cosa sapete della realtà circense africana e cosa vi aspettate da questa esperienza?

Il Fekat Circus è una realtà conosciuta in Italia, la compagnia ha già fatto diverse tournée in Italia e la scorsa estate io li ho incrociati al Sarniko Buskers Festival. So che quella del Fekat è una realtà molto attiva e socialmente impegnata, e so che è anche piuttosto all’avanguardia dal punto di vista circense, perché il suo fondatore, Dereje Dange, collaborava con la compagnia Italiana Cirko Paniko, una delle prime compagnie per altro a girare in tendone in Italia. Dereje ha portato quindi ad Addis Ababa la sua esperienza da performer di circo contemporaneo e l’ha condivisa con i ragazzi della scuola, smarcando le creazioni del Fekat dalla colorata tradizione africana. 

Resoconto

Cosa vi portate a casa da questa residenza?

Portiamo in Italia un momento profondo di condivisione, confronto, riflessione che travalica l’esperienza circense. È inevitabile infatti che la dimensione artistica non sia contaminata, influenzata e determinata dalle differenze climatiche, geografiche, culturali che intercorrono tra Europa ed Africa. La realtà del Fekat in particolare ne è testimonianza, perché è una realtà che sta cercando di avvicinarsi, organizzativamente e artisticamente, alla realtà Europea, pur mantenendo una propria identità. Ed è impossibile non farsi contaminare dall’energia e dalla volontà che spinge questi ragazzi ad andare avanti nonostante le difficoltà, la mancanza di risorse e la particolarità della loro offerta. 

Avete sia partecipato all’African Circus Festival ad Addis Abbeba, per poi spostarvi a Capetown. Ci sono state grandi differenze nella vostra esperienza in queste due città?

Abbiamo avuto la fortuna di avere una grossa connessione tra le due tappe, perché la compagnia che ci ha ospitati a Capetown, Zipzap, era presente all’African Circus Festival, ed è stata per altro tra le più apprezzate, anche dai ragazzi del Fekat. La tappa in Sud Africa è stata purtroppo breve ma, nonostante questo, mi è stato subito evidente che è una realtà molto più vicina all’ “Occidente” rispetto all’Etiopia, sebbene soffra di una grossa spaccatura tra la parte ricca e “bianca” e la parte più povera delle Township. In quella spaccatura prova ad inserirsi Zipzap, facendo un lavoro di recupero sociale meraviglioso. Zipzap ha un impianto molto più forte del Fekat, ha un’accademia fornita di alloggi per gli allievi, ha un Dome dove fare spettacoli; il Fekat appare molto più debole dal punto di vista strutturale, ma altrettanto, se non maggiormente, determinato ed efficace nel rapporto con il territorio.

Al Festival hanno partecipato diversi gruppi africani e internazionali, siete stati in contatto con modi di fare e vivere il circo molto diversi dal vostro?

Dal panorama offerto dal Festival si può dedurre che la tradizione circense africana non è stata ancora contaminata dalla realtà europea del circo contemporaneo. Per questo il Fekat risulta una dimensione piuttosto all’avanguardia. Tutte le altre compagnie sono legate ad una dimensione piuttosto tradizionale del circo, dove prevale la spettacolarità tecnica del singolo numero, a discapito di qualunque tipo di drammaturgia ed interpretazione. A fare eccezione, a parte il Fekat appunto, la compagnia marocchina Kolokolo, che si può definire a tutti gli effetti una compagnia di ricerca, e i sudafricani di Zipzap, questi ultimi però legati ancora ad una dimensione molto commerciale e spettacolare dello show.