Marco Monterzino

Marco Monterzino

Destinazione

Londra - United Kingdom

Periodo
-
Partito
Il progetto (e info su ente)

Il progetto Making Resilience è svolto da Marco Monterzino tra il primo Dicembre 2015 e il 30 Aprile 2016 presso SPACE durante il programma di ricerca e sviluppo professionale CoLAB a Londra. Il progetto ha prospettive di sviluppo verso la curatela di una serie di workshop e una mostra attraverso la progettazione di una collezione di prototipi di strumenti di resilienza.

ENTE OSPITANTE

Fondata da un gruppo di artisti nel 1968, SPACE gestisce 18 studi dislocati in 7 London Boroughs, offrendo spazi di lavoro accessibili più programmi di supporto creativi quali mostre, residenze per artisti e opportunità di formazione. SPACE fornisce anche progetti di apprendimento per scuole, giovani e comunità promuovendone il rapporto con la creatività e le arti. SPACE, inoltre, coinvolge 25.000 persone l'anno attraverso programmi pubblici.

Intervista

di Alessio Posar

Cosa ti aspetti dalla collaborazione con CoLab a Londra?

Da questa opportunità mi aspetto di crescere come designer verso la curatela di workshop e mostre, qualcosa che per me è decisamente nuovo ed entusiasmante. È un'attività che vorrei portare avanti accanto al lavoro da designer. Questo progetto è importante per me anche per continuare a costruire network, a legare contatti, nel contesto del mio mestiere, in cui network e collaborazione sono "reti di salvataggio" (safety net?) indispensabili. Rappresenta inoltre un'occasione interessante per condividere il mio percorso con un pubblico internazionale e curare una serie di eventi a Londra.

Perché hai scelto proprio la resilienza? Cosa rappresenta?

La natura del mio mestiere mi porta a viaggiare dove c'è lavoro, parto da Torino e Milano, poi Parigi, Londra, Eindhoven. Tutte capitali della 'rat race' per il mercato creativo. Londra, come ti dicevo, è un contesto che conosco ormai da cinque anni e sono contento di poter finalmente dedicare del tempo a un progetto come Tools of Resilience grazie al cruciale supporto del GAI che mi permette di dedicare del tempo al mio sviluppo professionale e personale attraverso il programma Movin'Up. Il tema della resilienza emerge dalla natura 'challenging' della città di Londra. Sono da sempre un torinese a Londra, che senza il GPS è perso, letteralmente. A partire dalla mole della città, le sfide si manifestano e amplificano. Per cominciare la qualità della vita è decisamente bassa e il costo della vita è decisamente alto. Diventa indispensabile quindi identificare il contesto per quello che è: dietro la capitale da cartolina, molti giovani creativi dai mezzi normali si trovano a fronteggiare un contesto dalle caratteristiche 'desertiche', 'un megacity desert' appunto. Un clima in cui le risorse sono scarse e il rischio di andare gambe all'aria si presenta ogni volta che finisce un progetto. I gap tra contratti sono imprevedibili, quindi quando si torna a caccia, è 'caccia persistente'. Il termine che fa da cappello a tutte quelle capacità che si apprendono lungo il percorso è proprio la resilienza. Una pratica resiliente è il contrario di una pratica fragile. Deve sopportare gli scossoni, ma anche il deragliamento temporaneo rappresentato da un contratto che finisce. Continuare a spendere molto, guadagnare nulla e continuare a correre dietro alla prossima opportunità prima di finire con le gambe per aria richiede, appunto, resilienza. Forse, piuttosto che un termine cappello, "resilienza" è un termine toolbox, ma termine cassettadegliattrezzi era troppo lungo.

Di cosa tratteranno i tuoi workshop?

La serie di workshop tratterà proprio di cercare, trovare e arricchire questa toolbox, tanto per me quanto per i creativi che partecipano. Tools of Resilience per Space intende trasformare la durezza urbana in avventura progettuale attraverso l'utilizzo di pratiche di design speculativo e il fare (making). Questa serie di workshop usa  'design thinking' (capacità progettuali) per progettare se stessi e la propria pratica professionale. Comporterà la prototipazione di artefatti e di affinare capacità di mapping, carpenteria, saldatura, uso di risorse digitali, agilità nei network, fotografia e videografia. La serie celebrerà processo e prodotto con una mostra presso il White Building, Hackney Wick, Londra. Il mio ruolo è quello di guidare un gruppo di creativi nel costruire un luogo di confronto attraverso la creazione di una collezione di strumenti di resilienza tangibili. Una serie di strumenti da aggiungere ognuno alla propria "cassetta degli attrezzi" per navigare attraverso l'alto grado di incertezza e fluidità del mercato creativo contemporaneo. Quali sono le minacce che rendono la vita  di un creativo a Londra 'challenging' quanto la sopravvivenza nel deserto? Ispirati da Chameaux D’Acier (Emile Leray), la trasformazione di una Citroen 2CV guastatasi nel deserto del Sahara Occidentale in una "moto di salvataggio" esploreremo queste narrative nel contesto di Londra come un "megacity desert".

Resoconto

di Alessio Posar

Come hanno risposto i partecipanti a workshop? Come si sono dimostrate le tecniche di resilienza?

Fin dall’inizio è stato chiaro che ci sarebbero stati diversi livelli di coinvolgimento. Un gruppo di 5 persone ha formato il core group durante tutte e 5 le sessioni del programma. A loro si sono aggiunti via via tutti gli altri partecipanti. Il gruppo ha rappresentato un elemento volano che ha contribuito molto al riscontro positivo della serie permettendo ai partecipanti sporadici di inserirsi rapidamente nel fitto tessuto di brief e sfide progettuali. Prima dell’apertura delle porte del primo workshop avevo una visione d’insieme di quello che intendevo proporre durante tutta la serie. Il metodo progettuale che ho condiviso strutturato in fasi è stato inizialmente messo in discussione da alcuni degli artisti del core group. Con mia grande soddisfazione, ho subito chiarito che ero felice di trovare un’audience attiva e desiderosa di dirottare il workshop e capace di prendersi carico della direzione del percorso che andavamo a intraprendere. Con un tono di fiducia reciproca e un approccio orientato alla facilitazione il workshop ha creato un luogo produttivo di discussione e creazione. Nel condividere la la mia griglia metodologica i risultati sono andati oltre le mie aspettative e sono francamente rimasto sorpreso dalla eterogeneità delle risposte dei partecipanti. Le tecniche di resilienza hanno rispecchiato le motivazioni personali che portavano ciascun partecipante a dedicare i propri weekend al progetto. In alcuni casi è stato importante condividere tecniche di prototipazione fisica, metodi per spingersi fuori dalla propria zona di sicurezza, in altri casi è stato utile discutere individualmente per individuare le domande alla base del brief di ciascun partecipante. Un partecipante che ha un background nelle arti visive, ad esempio, ha individuato nelle sue capacità di osservazione un forte strumento di resilienza, una sorgente di automotivazione che gli permette di attraversare le fasi calma piatta della sua pratica artistica. Il poco tempo a disposizione per ogni brief, unito a un timekeeping inesorabile, ha aiutato tutti i partecipanti a trasformare i concetti intangibili delle discussioni iniziali in prototipi fisici entro la fine di ogni sessione.

Come è cambiata per te la percezione di Londra dopo i workshop? Quale spazio per i tuoi tools of resilience?

Grazie al contributo del GAI, che attraverso il programma Movin'Up mi ha permesso di dedicare del tempo al mio sviluppo professionale personale, ho avuto occasione di provare a osservare l’esperienza londinese con nuovi occhi. Aver condiviso il mio percorso sotto forma di un metodo strutturato non ha necessariamente cambiato la mia percezione della città, ma mi ha dato occasione di postrazionalizzare il percorso intrapreso fino a ora. La dimensione narrativa e ludica che ho sviluppato ulteriormente nel condividere aneddoti e stratagemmi personali ha contribuito a rendere l’esperienza molto utile anche per il mio percorso. Le mie capacità in qualità di designer facilitatore sono per certo di gran lunga superiori rispetto a quando ho iniziato il programma. Inoltre la fortuna di lavorare con un gruppo di artisti di talento è stata fondamentale per sviluppare le mie capacità di curatela. Penso che proprio nella fase di curatela della mostra finale i miei tools of resilience abbiano dato prova di essere uno strumento professionale indispensabile. Progettare una mostra, orchestrarne l’installazione e curare la campagna promozionale è stato molto utile per cementare le mie capacita di logistica e pubbliche relazioni, un’occasione per dare una nuova forma operativa ai miei tools of resilience.

Hai già progetti da sviluppare per il futuro?

Al momento sto lavorando alla progettazione di una collezione di penne stilografiche che mi occuperà fino alla fine dell’estate, un progetto segretissimo sul quale non posso rivelare altro per ora. Per il futuro a medio termine vorrei dedicarmi a un progetto che nasce proprio da una collaborazione con un artista che ha partecipato a Tools of Resilience, dita incrociate. Ho inoltre intenzione di continuare a dedicarmi al progetto Tools of Resilience con l’obiettivo sviluppare una piattaforma di innovazione trasversale che continui a creare sinergie virtuose con istituzioni culturali, comunità creative e spazi espositivi.