Virginia Zanetti

Virginia Zanetti

Destinazione

Nagpur - India

Periodo
-
Tornata
Il progetto (e info su ente)

Una nuova visione data da un'azione collettiva insieme alle persone del villaggio Korku a Melgath, in India, per avviare uno scambio alla ricerca di una nuova etica o spiritualità, attraverso l'incontro della cultura occidentale con quella orientale rurale. Camminando si raggiunge il punto più alto da cui “vedere” meglio e per poi assumere la posizione della verticale, se ribaltiamo il “punto di vista” le persone sorreggono il mondo diventando dei pilastri della terra, assumono un ruolo attivo. La rivoluzione umana di un singolo individuo può concorrere alla trasformazione di tutta l'umanità.

ENTE OSPITANTE

Gram Art Project mira a lavorare nell'India rurale, su diverse questioni importanti legate al paese, concentrandosi principalmente su attività artistiche, lavorando con la comunità sulle questioni legate ai programmi di scambio per i coltivatori e sull'elevazione della posizione delle donne.

L'obiettivo è quello di unire artisti visivi, artisti dello spettacolo, critici d'arte, architetti, assistenti sociali, gli agricoltori e le persone che lavorano nelle zone rurali dell'India per collaborare e lavorare con la comunità locale sulle tematiche legate all'ambiente, promuovendo l'agricoltura biologica, una nuova consapevolezza sociale e sanitaria l'istruzione per le donne e altre questioni importanti legate al paese e al suo sviluppo sociale.

Intervista

di Michele Prencipe

Cosa ti aspetti di trovare nelle comunità rurali in India?

In questo caso sono interessata a capire come le piccole comunità rurali si rapportino alle trasformazioni causate dal capitalismo nei paesi in via di sviluppo. Ho sempre scelto residenze artistiche in piccoli centri, piuttosto che nelle grandi capitali, perché credo che questi “microcosmi” svelino con più immediatezza il funzionamento e l'evoluzione dell'esistenza individuale e collettiva.
Sono molto curiosa di collaborare con l'artista Shweta Batthad e il suo progetto di residenza Gram Art Project che utilizza l'arte per creare valore sul territorio, in contrapposizione al vuoto che accompagna lo sviluppo della "società dello spreco".
In generale, quando mi reco in un posto nuovo, cerco di non avere nessuna aspettativa, vorrei trovare semplicemente un punto di vista differente. Cerco di lasciare a ogni “esperienza” la possibilità di svilupparsi in modo fluido, sfruttando coincidenze e circostanze casuali. Per questo, spesso i miei progetti vengono totalmente trasformati e arricchiti dagli incontri che avvengono nel corso del loro sviluppo.
In questo caso, il progetto è iniziato in un singolo villaggio rurale della tribù kurku a Melgath e ora si è allargato ad altri due villaggi tra Nagpur, Goa e Delhi. Da gennaio scorso ho iniziato a collaborare con altri due artisti di Gram Art Project: Aditi Batthad e Parvindar Singh. Insieme realizzeremo dei laboratori di danza, ginnastica e uso del corpo per bambini e adolescenti che vivono in questi villaggi. Imparare a fare la verticale allo scopo di realizzare insieme una performance collettiva e una mostra diventa uno scopo comune e crea un nuovo valore collettivo.
Gram Art Project sta facendo un grosso lavoro per emancipare le persone e dare loro accesso all'arte e alla cultura. Dal primo incontro con Shweta la rete delle persone che collaborano al progetto si è allargata e continua ad allargarsi ancora. L'incontro con la curatrice italiana Valentina Gioia Levy porterà il progetto anche a Goa, nel primo Museo d’arte contemporanea della regione, dove Subodh Kerkar, artista e direttore, sta lavorando per abbattere le barriere sociali e culturali che limitano l'accesso delle persone all'arte.

Come ti relazioni, da occidentale, alla spiritualità dell’oriente, di cui l’India è il simbolo per antonomasia?

Non ho mai percepito la cultura orientale come qualcosa di molto distante da me, forse perché i miei contatti con essa sono iniziati quando ero bambina, attraverso le visioni nate dai racconti e dagli oggetti portati da mio padre quando tornava dai sui numerosi viaggi in India ed in tutto l'Oriente.
A dodici anni feci un viaggio di quasi due mesi in Indonesia e credo sia nato lì il modo sincretico con cui vivo le culture orientale e occidentale.
Da circa un anno, la mia ricerca sulle tematiche di vita e ambiente, spiritualità e attivismo politico, mi ha fatto incontrare alcuni artisti indiani e neozelandesi con i quali ho trovato molti punti di vicinanza e interesse. L’intento del mio lavoro è quello di creare “visioni” attraverso immagini, tracce, segni che attingono ai codici condivisi da una comunità e diventano parte integrante dell’ambiente in cui nascono. Le performance che realizzo, e le opere che ne scaturiscono, sono quindi collettori di dinamiche umane, piuttosto che  semplici oggetti di contemplazione.
In generale, la mia visione dell'esistenza implica una fiducia profonda nelle potenzialità dell’essere umano, per cui cerco di trasformare differenze, conflitti e criticità come stimolo per un continuo ripensamento del reale.

Camminare per creare una nuova etica o spiritualità: quale sarà il tuo cammino?

Spesso le “visioni” da cui scaturiscono le mie performance arrivano mentre cammino e sono legate, a loro volta, al cammino, alle persone e alla Terra come, per esempio, la performance collettiva Walking on the water. Miracle & Utopia, che ho realizzato nel 2013 per la Biennale del Mediterraneo ad Ancora. 
L’idea nasceva da uno scoglio molto particolare vicino al Parco del Conero, chiamato Il Trave: una formazione geologica che si prolunga per circa un chilometro verso il mare, per  buona parte a fior d’acqua. Leggenda vuole che un tempo lo scoglio si estendesse fino all’altra sponda dell’Adriatico a  simbolo di fratellanza. Per arrivare a questo scoglio, diventato quasi irraggiungibile via terra, ci sono volute quattro ore di cammino e altrettante per procedere sugli scogli sommersi, dando l’impressione di camminare sull’acqua per poi scomparire.
Camminando, si parla, si scambiano idee e si crea in modo spontaneo una nuova comunità di persone. Camminando, si raggiungono luoghi in alto da cui è possibile “vedere” meglio. Lo scopo è quello di capovolgere il punto di vista, condividendo l’esperienza tra persone che provengono da un ambiente culturale differente, creando una comunità eterogenea errante alla ricerca di un diverso punto di vista. Vorrei esplorare insieme alle persone i concetti di Rinascita e Rivoluzione attraverso il cambiamento della visione, tramite un movimento di verticalità che supera la forza di gravità. Sfidando la morte, intesa anche in senso metaforico, si sovverte la postura naturale con un atto di volontà.


Resoconto

Com’è stato il percorso che ti ha portata alla realizzazione di “The Pillars of the Earth”?

Ho scelto l’India per iniziare questo progetto perché è un paese che riflette in modo significativo il contrasto che si sta manifestando tra spiritualità e sviluppo capitalistico. Nelle aree rurali queste contraddizioni, poi, si manifestano in modo più evidente. Il lavoro è iniziato in Italia vari mesi prima del mio arrivo: Subodh Kerkar e Shweta Batthad mi hanno aiutato ad avviare un dialogo con persone provenienti dalla danza, lo yoga e lo sport. 

Ho trovato alcuni luoghi di speciale interesse per la loro connessione con lo sfruttamento delle risorse ambientali e umane, in modo tale che ogni azione acquisisse uno specifico significato per le persone, in relazione al luogo in cui vivono e lavorano, evidenziandone l’interdipendenza. La mia intenzione, comunque, non era quella di realizzare un’indagine giornalistica o una denuncia diretta, ma di creare un’azione poetica che facesse guardare oltre la rassegnazione e l’accettazione passiva dei meccanismi che per anni hanno caratterizzato la gestione delle risorse di questo territorio. 

Il mio arrivo in India è iniziato da Goa, che per me è stato il preludio alla complessità dell'India. Il progetto a Goa si è sviluppato attraverso alcuni workshop per la sezione didattica del Museo Mog di Goa e su alcune spiagge di Goa in collaborazione con il maestro di yoga  Bablu Marik. La prima performance pubblica è stata fatta da lui su una scogliera vulcanica nella spiaggia di Arambol. Questa prima parte di lavoro comprendeva, inoltre, una lecture ed una mostra personale – curata da Valentina Gioia Levy – negli spazi del Museo Mog di Goa. La mostra comprendeva alcune opere fotografiche e una installazione composta dai disegni delle persone che offrivano la loro visione di mondo capovolto. 

Dopo l'inaugurazione della mostra, che ha avuto la funzione di incipit per lo sviluppo del progetto, mi sono spostata nei villaggi Melghat e Paradsingha, nell'area tra gli stati del Maharashtra ed il Madhya Pradesh: la profonda India, così come l'ho definita dopo aver passato giorni senza incontrare un occidentale. Qui la comunità aveva lavorato nei mesi precedenti con Shweta, Aditi Batthad e Parvindar Singh di Gram Art project che si sono occupati di istituire un appuntamento settimanale dedicato ai giovani, per fare ginnastica e imparare a usare il proprio corpo. Al mio arrivo il lavoro stava già andando da solo e ho capito solo allora  quanto queste persone mi aspettassero e quanto questo progetto avesse dato loro una motivazione per migliorare la propria condizione. Abbiamo lavorato e vissuto con entusiasmo il tempo insieme, realizzando queste azioni collettive, in luoghi carichi di forti contraddizioni. L'ultima performance è stata un evento pubblico aperto a tutte le famiglie, in cui i ragazzi e i bambini hanno fatto le verticali sulla montagna di terra, creata dal lago in costruzione che servirà per irrigare i campi nei periodi di siccità.

Cosa ha significato per te collaborare con Gram Art Project? Cosa hai trovato nelle comunità che hai visitato?

Gram Art Project mi ha insegnato che l'arte può essere utilizzata per trasformare e migliorare la condizione delle persone e dell'ambiente. In Italia è difficile trovare esempi simili: la maggior parte delle volte, infatti, artisti e istituzioni utilizzano tematiche sociali, politiche o ambientali per avere attenzione mediatica o per lavarsi la coscienza. Invece gli artisti fondatori di Gram Art project non usano tematiche politico-sociali per mettersi in evidenza ma, al contrario, utilizzano l'arte per evidenziare ed eventualmente risolvere  problematiche reali. I villaggi dove Gram Art Project opera sono molto poveri e isolati rispetto alle principali città. Per me non è stata prevista una residenza all'interno di spazi dedicati, ma sono stata ospitata direttamente nelle case degli organizzatori. Ho sperimentato la vita in questi villaggi, non come una semplice visitatrice, e ho dovuto superare immediatamente lo shock igienico e culturale. Al mio arrivo mi sono trovata a vivere ogni loro abitudine senza mediazione: ho dormito in terra con loro, ho partecipato ai riti della festa holy, ho mangiato i pochi prodotti disponibili strettamente vegani, mi sono lavata con secchi d'acqua in bagni ricavati all'interno delle stalle e a pochissima distanza dalle mucche. 

Come ricompensa a questo necessario e complicato adattamento, che mi ha portato anche dei problemi di salute, ho trovato una semplicità disarmante che ha causato un ribaltamento della mia visione: pensavo di essere io a dover stimolare il loro potenziale, e invece sono stati loro a trasmettermi rispetto e fiducia profonda nel potenziale umano. Scoprire la dignità e la ricchezza d'animo di un contesto così umile è il dono che ancora oggi porto con me. La loro disponibilità e apertura illimitata verso l'altro, nonostante tutte le contraddizioni insite in una cultura ancora intrisa dei meccanismi delle caste, è la cosa più preziosa che ho trovato.

Dopo questa esperienza dove ti porterà il tuo cammino?

The Pillars of the Earth è in cammino verso altri luoghi del mondo: è stato realizzato a Cosenza questa estate e a Prato sulla Calvana, con gli atleti della S.G. Etruria. Quest'ultimo verrà presentato come progetto selezionato e prodotto per la mostra inaugurale La fine del mondo del Centro per l'Arte contemporanea Luigi Pecci, insieme ad altri nove giovani artisti nella mostra Guardare il mondo di oggi e immaginare quello di domani che inaugurerà il prossimo 12 Ottobre 2016. L'esperienza in India invece proseguirà, il prossimo Dicembre 2016 parteciperò con un mio progetto di performance a Lucid Sleep//A Curated Series of Live Performances, a cura di Anuradha Kapur e Lillete Dubey e prodotto da HH Art Spaces Foundation, per il Serendipity Arts Festival, che si terrà a Goa dal 15 al 23 DICEMBRE, 2016.

di Michele Prencipe