GEMINE MUSE
[critici]
 

PADOVA - Musei Civici
Andrea Contin - Michele De Marchi
Confrontarsi con il museo è quanto di più difficile si possa chiedere a un artista. A meno che egli non vi abbia deliberatamente impostato la sua ricerca, la rivisitazione del passato illustre è un'operazione che nasconde mille trappole, tanto che, in genere, si permettono di affrontarla o i giovanissimi ancora in corso di studi, che provano a rivolgere la parola agli antichi non senza una buona dose di incoscienza; o, all'estremo opposto della maturità, gli anziani, che per tirare le somme della loro carriera si ritirano a riflettere intorno all'olimpo della classicità, dove presto, se i posteri li riterranno degni, essi stessi saranno annoverati.
Il progetto Gemine Muse lancia quindi una sfida assai accattivante, ma da affrontare con grande controllo dei propri mezzi. Per questo motivo, tra gli iscritti all'Archivio Giovani Artisti Italiani di Padova, la mia scelta è caduta su due tra quelli che mi danno maggiori garanzie, dato che sono ormai sulla via dell'affermazione professionale. Andrea Contin e Michele De Marchi già in passato sono stati presentati al pubblico padovano in almeno una delle esposizioni - Segnali e Quotidiana - che il G.A.I. di Padova promuove annualmente a sostegno degli artisti all'esordio. Oggi ci rallegriamo nel ritrovarli, dopo che essi hanno accumulato una serie di mostre, sia collettive sia personali, in spazi sia pubblici sia privati, che hanno cominciato a farli conoscere su scala nazionale.
Contin e De Marchi si sono specializzati in quei linguaggi "altri" rispetto al tradizionale binomio delle arti visive, pittura e scultura: il primo mostra da sempre la vocazione per l'evento performativo, che lo mette in gioco in prima persona, nella sua prorompente fisicità di "omone di cento chili"; De Marchi, invece, ci ha abituato a sofisticate installazioni, che sfruttano i mezzi più vari e ingegnosi. Curiosamente, in questa occasione, entrambi si trovano d'accordo nel fuoriuscire addirittura dall'ambito della visività e puntare sulla sonorità. In effetti, cosa è più efficace per animare il silenzio secolare dell'opera, se non avvolgerla in un sonoro, donarle la parola?

Guido Bartorelli