FERRARA
- Castello
Estense
Giuseppe Cestari, Costanza Minelli, Michelangelo Neri
Ci
sono luoghi che si riempiono di storia malgrado loro, in cui si rinchiude
ciò che all'esterno, per ragioni e convenzioni, ha usurpato il
"corretto" corso dell'esistenza. Lì dentro la vita
scorre ma il tempo resta, ingabbiato nella dimensione assurda di un'attesa
senza oggetto. Eppure la storia entra anche lì vissuta nel chiuso
di un'esclusione, nella solitudine straziante di un unico lungo istante
incolmabile. E allora, cosa ha spinto questi tre giovani artisti a scegliere,
fra i possibili spazi a disposizione all'interno del Castello Estense,
proprio le prigioni? Quale fascino può subire l'espressione artistica
dall'assenza di libertà, dalla tumulazione di qualsiasi creatività?
A dare una risposta credibile saranno senz'altro le opere che andranno
ad abitare quegli spazi, che io ancora non conosco se non per descrizione,
non certo per concretezza. Tuttavia un azzardo è possibile, osato
forse soltanto per urgenza e voglia di dire che le sbarre stanno in
mezzo tra chi è dentro e chi è fuori, e non sempre è
chiaro chi realmente stia dentro e chi invece fuori. Che quando l'etica
e la politica di una società sono fondate sulle ipocrisie acefale
dell'economia non resta altro che rinchiudersi e da lì puntare
il dito. Sarà un gesto ammutolito dallo spessore delle mura,
strozzato dall'angustia della finestra, azzittito dallo scrocchio della
porta, ma se avrà forza sufficiente saprà farsi ascoltare,
magari tirando per la giacca il visitatore distratto che negli ampi
spazi del castello s'imbatterà in tre celle, per fortuna non
più abitate da uomini, ma da pensieri che da lì, da quel
chiuso, mostreranno una possibile apertura. In fondo è significativo
che i linguaggi contemporanei mostrino le loro idee non dai saloni d'onore,
ma dalle prigioni. La storia, a volte, ha di queste ironie.
Angelo
Andreotti