BOLOGNA
- Museo Archeologico
CASUS
BELLI
"Era una gioia appiccare il fuoco" esclama il pompiere Guy
Montag all'inizio del romanzo di Bradbury [Fahrenheit 451]. Au feu et
a l'eau! urla Prévert ai Grandi Distillatori di Piena che per
scongiurare l'inondazione incendiano la città affinché
l'acqua evapori nel cielo.
Tra tutti
è solo l'occhio trasognato della statuaria di Prassitele ad essere
umidus (secondo la definizione degli antichi) dato che gli altri calchi
in gypsum sono un'autentica "polveriera". Una scintilla appena
e la gipsoteca si trasforma in un ellenico agone. Con il cimento dei
nudi corpi degli atleti, le austere divinità mitopoietiche, le
adorne grazie delle korai e tutta una platea di filosofi e imperatori
decollati che guardano impotenti il raptus d'ebbrezza pirica che li
insidia... l'empito all'eccidio di Anna Visani che, asfissiata dal periglioso
raffronto, consuma la propria vendetta. La propria tragedia.
Vampe color del Cerianto si disegnano sopra sagome di carton-legno (un
materiale transeunte, da prologo canicolare) diventando effigi della
sostanza più sottile e mobile: il fuoco, fonte di luce e calore;
come lingue d'ignea energia che ascendono dal pavimento, si propagano
sui basamenti, intaccano le scultoree pelli d'alabastro, riducendo le
forme a cenere e caligine.
Un atto doloso. Forse dovuto. Ard(or)e in pectore: Eros e thanatos /
passio e viriditas. Tra fiamme, fumi, furor e follia, la catarsi, la
rigenerazione dell'arte attraverso la distruzione. Per non vedere più
"le vecchie reliquie tarlite, così gelosamente custodite
da tanto tempo!" [Palazzeschi; L'incendiario] e per dimenticare
il pallido fulgore di ogni pompiers (gli artisti di regime a detta di
Fabro) grazie a un rogo d'inestinguibile "fuoco greco" - una
miscela infiammabile usata fin dal V sec. a.C. in grado di bruciare
anche sull'acqua!
Alberto
Zanchetta