Paternesi Sara

Danza

Paternesi Sara

Destinazione

Berlino - Germany

Periodo
-
Partita
Il progetto (e info su ente)

IL PROGETTO

Progetto coreografico basato sulla pratica della danza e del movimento nello spazio naturale della foresta. L’obiettivo della ricerca, sotto la guida della coreografa Clara Crescini, è quello di affinare la “percettività” del corpo, la sua capacità di osservare ed assorbire dall’ambiente circostante nel dialogo, nell’ascolto. Il risultato dello studio sarà uno spettacolo di danza e suono, una performance di lunga durata, dove la drammaturgia si interseca allo spartito musicale. Il lavoro è fortemente caratterizzato dalla città di Berlino ed è inserito in un percorso di formazione e produzione di cui fa parte anche il progetto in tre fasi Des raumes des lebens.

ENTE OSPITANTE

L'HZT di Berlino fornisce una formazione orientata alla pratica e alla ricerca nel campo della danza contemporanea, della coreografia e della performance. La stretta connessione tra la formazione accademica e la pratica artistica professionale caratterizza i corsi che offrono un approccio sperimentale allo studio, combinando una formazione artistica orientata alla pratica e alla ricerca e un orientamento pratico alla carriera. La cura dello sviluppo artistico individuale, la contestualizzazione e la riflessione critica dell'arte e della pratica artistica sono componenti integranti dei programmi di studio. L'attenzione si concentra sull'affrontare in modo creativo e critico ciò che la danza, la performance e la coreografia sono e possono essere come forme d'arte, nei diversi ambienti sociali e culturali di oggi. L'HZT si trova presso il Campus Uferstudios di Berlino Wedding e il Campus Zinnowitzer Straße di Berlino Mitte.

Il Centro Interuniversitario per la Danza di Berlino è sotto la responsabilità congiunta dell'Università delle Arti di Berlino (UdK) e della Hochschule für Schauspielkunst Ernst Busch (HfS) in collaborazione con TanzRaumBerlin, una rete di professionisti della danza.

Fondata nel 2006, la HZT di Berlino è stata avviata come progetto pilota nell'ambito dell'iniziativa culturale federale Tanzplan Deutschland. Dal 2010 è stata inserita nel quadro istituzionale universitario.

Intervista

L’obbiettivo della tua ricerca partiva dalla pratica della danza nella foresta, e ambiva ad affinare la “percettività” del corpo. Come si è svolta questa ricerca sia a livello teorico che pratico?

La ricerca coreografica che abbiamo intrapreso con il progetto “Going Wild” ha avuto origine da una riflessione comune, guidata della coreografa Clara Crescini, rispetto alla parola selvaggio, e a ciò che essa faceva affiorare nel nostro immaginario. Ciascuno di noi ha quindi realizzato due elaborati volti ad approfondire questo concetto, esplorando il selvaggio sia in relazione al mondo esterno, che rispetto alla nostra interiorità.

 

Di seguito riporto alcuni estratti:

“Essere un selvaggio, un essere selvaggio.

È un nome e un aggettivo, è un indefinito, è una condizione che per ritrovarla (credo sia già insita in noi) non richieda uno sforzo ma solo un’immersione in uno spazio e tempo differente.

Selvaggio come ancestrale? Selvaggio come non educato? Selvaggio come non curato? Oppure

Selvaggio come istintivo? Selvaggio come naturale? Selvaggio cioè esente da sovrastrutture?

Non so rispondere a queste domande, attualmente la mia condizione è un voler assistere alla creazione in divenire seguendo e non anticipando….

…Voglio nutrire un selvaggio che sia capace di agire solo dopo aver praticato “esercizi di ammirazione” con l’esterno…”

 

Per quanto riguarda la ricerca interiore, personale del selvaggio, la mia riflessione si è articolata intorno ad una frase di Claudio Magris, tratta da “Itaca e oltre”:

“L'organo privilegiato non è la vista, il senso nobile che da Aristotele in poi è lo strumento ordinatore per eccellenza della cultura occidentale, bensì l’udito e l’odorato, espressioni dell’immediatezza sensibile del corpo, della fisicità e dell’animalità.”

Le sessioni nel bosco hanno tratto ispirazione dal percorso di formazione triennale “Rhizoma/le pratiche dell’ascolto ad indirizzo movimento somatico, ecosomatico ed artistico”, svolto dalla coreografa sotto la guida di Cinzia Delorenzi.

Una volta entrati nella foresta, abbiamo iniziato a notare come i nostri sensi mutassero: le percezioni diventavano più ampie e la muscolatura si distendeva, perdendo man mano quella tensione tipica della frenesia cittadina. La vista non era diretta verso un obbiettivo preciso, ma piuttosto si perdeva nell’orizzonte, accogliendolo nella sua totalità. L’udito riusciva a captare anche i suoni più impercettibili: ogni fruscio, ogni rumore venivano considerati come elementi da incorporare, come stimoli che andavano ad arricchire il nostro stare.

Abbiamo esplorato quale qualità di movimento emergesse da questo stato contemplativo, in cui non ci era richiesto di fare qualcosa, bensì soltanto di osservare ciò che nasceva da sé.

 

Berlino è una città in continua evoluzione e melting pot di movimenti e iniziative culturali. Come ti ha influenzato dal punto di vista artistico?

Vivere a Berlino mi ha dato la possibilità di avvicinami al movimento seguendo strade che, in precedenza, ignoravo completamente, e che, forse proprio per questo motivo, non avevo mai pensato di sperimentare.

Berlino è una città ricca di differenze, e questo permette il libero accesso al provare, al metterti in gioco, eventualmente a sbagliare, senza che a questo errore venga associato necessariamente un giudizio. Vivendo in questa città, ho imparato che lo sbaglio è parte integrante del processo creativo, e che, pertanto, va accolto, non evitato. Da spettatrice, ho iniziato a focalizzarmi più su ciò che mi interessa nell’opera d’arte, invece di affrettarmi a formulare un giudizio. Spostare il focus lontano dall’urgenza di valutare mi ha aiutato a sentirmi più legittimata allo sbaglio, in fase di creazione.

Un altro aspetto che mi ha aiutato a crescere è stato il poter partecipare a numerose iniziative in cui la volontà di condivisione, per gli artisti, prevaleva di gran lunga sulla forma e sulla tecnica con cui veniva realizzata l’opera. La convivenza tra ambienti diversi richiede un confronto spontaneo, ma al tempo stesso molto diretto, e pertanto porta ad un approfondimento maggiore della propria visione artistica e personale. In questa fase del mio percorso, tendo a preferire questo approccio, rispetto alla ricerca di una coerenza di linguaggio assoluta, che, a mio parere, rischia a volte di essere fine a sé stessa, senza chiedersi nient’altro.

 

Quali sono i tuoi prossimi obbiettivi come artista e come pensi di raggiungerli?

Ad oggi, il mio desiderio è quello di realizzare una performance solista. Credo nella creazione come processo di sintesi di quegli aspetti che, a mano a mano scopriamo di noi stessi: un’opportunità per fare il punto della situazione su dove/come siamo rispetto al nostro percorso di vita.

Trasformare in forma espressiva ciò che ho appreso fino ad ora non è solo un processo di rielaborazione, ma anche un voler mettere a fuoco gli aspetti che al momento definiscono la mia poetica come artista e individuo. Dopo aver lavorato in precedenza a un duo ora vorrei mettermi alla prova individualmente per comprendere il mio approccio compositivo attuale.