Cartoni Mancinelli Viola

Musica

Cartoni Mancinelli Viola

Destinazione

Salvador - Brazil

Periodo
-
Tornata
Il progetto (e info su ente)

IL PROGETTO

Il progetto realizzato a Salvador de Bahia consiste in una residenza artistico-pedagogica presso Neojiba, un programma di sviluppo umano e integrazione sociale, ispirato a El Sistema venezuelano, che agisce in aree urbane fortemente critiche, come le favelas, attraverso la pratica musicale prevalentemente orchestrale. Il ruolo dell’artista durante la residenza è stato in parte didattico, attraverso l'insegnamento di pianoforte e musica da camera, ma soprattutto artistico attraverso la realizzazione di una decina di concerti all'interno della stagione concertistica della Sala Neojiba.

ENTE OSPITANTE

I "Núcleos Estaduais de Orquestras Juvenis e Infantis da Bahia" (NEOJIBA) sono un esempio innovativo di politica pubblica che combina i settori della Cultura, dell'Istruzione e dello Sviluppo Sociale in modo pionieristico a Bahia. Il programma è stato creato nel 2007 dal pianista, educatore, direttore d'orchestra e manager culturale Ricardo Castro ed è collegato alla Segreteria di Giustizia, Diritti Umani e Sviluppo Sociale del Governo dello Stato di Bahia. L'iniziativa è gestita dall'Istituto per lo Sviluppo Sociale attraverso la Musica (IDSM), fondato nel 2008 per promuovere, incoraggiare e sostenere lo sviluppo e l'interazione sociale attraverso la pratica musicale collettiva.

Intervista

Dopo anni in cui sei stata pianista professionista, cosa ti ha spinto ad affiancare alla tua carriera l’insegnamento della musica con scopi pedagogici?

L’interesse per l’insegnamento della musica a scopi sociali è arrivato un po’ alla volta. Ovviamente in Europa siamo indirizzati allo studio della musica a scopo di performance: puntare a diventare pianisti esecutori e fare concerti. Questo ci viene insegnato nei conservatori e si parla poco dell’insegnamento della musica come piano A, spesso è un piano B. Quando non riesci a diventare un pianista professionista ripieghi sull’insegnamento. Io invece mi sono interessata dell’aspetto sociale della musica dal 2011 al 2014 quando ho creato un progetto con dei colleghi in Bolivia negli orfanotrofi. Si trattava di utilizzare la musica a livello sociale per la riabilitazione della personalità in seguito a traumi, aiutare la crescita e l’integrazione. Tutto ciò mi ha portato a conoscere Riccardo Castro,  che è il fondatore del progetto dove sono stata in Brasile.

 

Riguardo alla tua esperienza in Bolivia in orfanotrofio, come è stato approcciarsi ad un mondo così diverso, come insegnante, occidentale, e ragazza bianca?

Credo che la reazione più forte sia stata mia rispetto alla loro. Il mondo in Sud-America è abituato all’occidentale, la televisione che consumano è quella statunitense, la mia presenza non è stata destabilizzante, ma al contrario il contatto con queste realtà e società mi ha portato a una riflessione profonda al mio ritorno. Sul luogo mi sono sentita molto a casa, la cultura è sempre latina, hanno la stessa concezione dell’accoglienza, del contatto umano, della famiglia. Quello che è stato difficile è stato tornare a casa, perché ti rendi conto di dinamiche strane e ingiuste accettiamo ogni giorno. Quando entri in contatto con altri mondi diventi meno tollerante dei vizi della nostra società. Non parlo delle differenze sociali tra le nostre nazioni che sono scontate per quanto ingiuste, ma rispetto alla vita quotidiana. Quello che consideriamo piccoli disagi o difficoltà, in realtà sono privilegi e siamo noi ad essere solo un po’ viziati. Da quando sono tornata ho difficoltà a tollerare piccole lamentele tipo non arriva l’autobus o mi sono bagnato per la pioggia.

Quando dici ragazza bianca, in effetti in alcune zone delle città dove ho lavorato, soprattutto in Brasile, mi sono sentita oggettivamente in pericolo. Perché il bianco è visto come quello che viene a comprare la droga, nelle favelas, se sei bianco vuol dire che hai a che fare con il narcotraffico. Mi hanno dato la  maglia del progetto e in quel modo ero riconoscibile.

 

Visto che sei in questo mondo da sette anni se non di più, tra Brasile e Bolivia, volevo chiederti di descrivere come hai visto la musica avere un impatto positivo sulla vita delle persone che hai incontrato in questi paesi.

La prima cosa che mi viene in mente è che molti allievi dei progetti in cui ho lavorato, sia in Brasile che in Bolivia, appartenevano al crimine. Molti bambini e ragazzi erano già inseriti nel narcotraffico e ne sono venuti fuori grazie  all’opportunità di poter imparare a suonare uno strumento e appartenere ad un ambiente costruttivo. Ad esempio in Brasile i ragazzi che fanno parte di quel progetto possono partecipare solo se si iscrivono alla scuola pubblica, che non è scontato e di sicuro devono evitare la strada del crimine. Nel mio anno in Brasile e 3-4 estati in Bolivia di estate ho visto cambiamenti nei ragazzini, che sono diventati più riflessivi, critici e hanno imparato a voler un po’ più bene a se stessi. Quindi sono passati a dire chi me lo fa fare di rischiare la vita nel narcotraffico quando mi viene data l’opportunità di valorizzarmi suonando uno strumento. In Brasile la schiavitù è finita da poco, un ragazzo della mia età potrebbe aver avuto un nonno schiavo, quindi quello che gli manca è credere in se stessi e pensare di poter fare qualcosa di diverso dal delinquere. Quando con la musica si rendono conto di valere e poter fare qualcosa di diverso, vedi dei ragazzi cambiare e avere molta più fiducia in se stessi. Noti anche che ritornano più della loro età: non sono più dei piccoli adulti, ma dei ragazzini di 12 13 anni che si divertono, ritornano ad avere un po’ più la loro età, come hanno il diritto di avere. Quindi non è la musica di per sé, ma qualcosa che li valorizzi, la musica è una scusa per tirarli fuori da dinamiche sbagliate.

 

Oltre ad insegnare a loro, hai anche tu imparato qualcosa da questi bambini o comunque da questa esperienza?

Credo di aver imparato più io da loro che il contrario. Innanzitutto ho visto quanti sacrifici fanno nella vita, banalmente ore e ore di autobus per attraversare una città infinitamente grande per arrivare al luogo dove io tenevo lezione. Erano sacrifici enormi e rischi enormi in continuazione come passare per zone pericolose e rischiare assalti. Mi sono stati di esempio questi ragazzini che non temevano niente e nessuno per frequentare una lezione di musica.

Poi ho imparato a vivere un po’ di più alla giornata. Loro, in una società con rischi e pericoli ogni giorno, si godono un po’ più le cose a fondo. Pianificano molto meno, e si preoccupano molto meno del futuro. Non che sia da prendere da esempio, perché le nostre sono società diverse, ma si potrebbe pensare a vivere in modo più leggero e liberarsi dall’atteggiamento di preoccuparci in continuazione.