Case Interrotte

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Altro
Teatro

Case Interrotte

Destinazione

Valona - Albania

Periodo
-
Tornato
Il progetto (e info su ente)

IL PROGETTO

Case Interrotte è un progetto partecipativo che prevede due residenze a Orikum, la prima delle quali con avvio entro fine giugno 2022. La presenza sul territorio permetterà di incontrare diverse generazioni di abitanti del villaggio: i bambini e le bambine tramite gli istituti scolastici invitanti e la generazione de nonni grazie
all’attraversamento dei luoghi da loro vissuti. Verranno realizzati dei laboratori di radio e disegno con i bambini attorno al concetto di casa, di appartenenza, di
sogno di un altrove. Gli incontri con bambine/i e con gli anziani del villaggio verranno documentati tramite registrazioni audio e tramite fotografia analogica. Le voci delle persone, delle cose e delle case incontrate saranno la materia sonora messa in scena in una rappresentazione teatrale di radio dal vivo. Le immagini ne diventeranno la
scenografia. Lo spettacolo avrà luogo in forma di restituzione degli incontri a Orikum, con la partecipazione delle/gli abitanti, e in Italia, con le/i componenti della diaspora albanese.
 

L'ENTE OSPITANTE

La Shkolla Internaciona è una scuola internazionale con sede a Vlore, in Albania. 

Intervista

UN INVITO AL SOGNO

Intervista a Irene Aurora Paci di Case Interrotte

 

Come nasce Case Interrotte?

Case Interrotte nasce dalla vicenda personale di Anisa, una delle membre del gruppo, e dal mio interesse per le storie, la storia e la questione abitativa. Io e Anisa ci siamo incontrate a Roma, dove abitavamo insieme. Anisa è geografa e operatrice in un centro anti-violenza. Viene da Orikum, un paese della costa albanese che conta circa 5000 abitanti, da cui è partita nel 1997 insieme ai genitori, su quello che loro chiamano il gommone. Arrivati in Italia, si spostano in diversi luoghi, finché non riescono ad acquistare dei ruderi in Toscana. Alla fine dell’anno scorso finiscono di sistemare il casolare. Per la prima volta, dopo anni, riescono ad avere una casa di proprietà. Questo momento è per noi importantissimo: alla base dell’interesse per queste storie di vita c’è un interesse molto forte per il diritto alla casa. È da lì che tutto comincia. 

E come è nata, invece, l’idea di questo progetto?
Quando abitavamo a Roma, Anisa mi raccontava spesso di come in Albania esistesse ancora la casa dei genitori, quella dove lei era nata. Era ancora un luogo estremamente importante per lei, dopo quasi 20 anni. Ne parlavamo. Ci dicevamo: sarebbe bello tornarci. Tornarci insieme. Per raccontare la storia di quella casa. Io mi occupo di audio. Il primo pensiero, quando ho cominciato a ragionare sulla forma di questa storia, è stato: potrebbe diventare un documentario radiofonico. Su cosa? In realtà, non lo sapevo ancora. Noi, non lo sapevamo. Sapevamo solo che questa casa sarebbe stata al centro del racconto. Poi ho lavorato per individuare meglio il fulcro della narrazione, e lì ho capito cosa mi interessava davvero: comprendere come la casa avesse continuato la sua vita dopo essere stata interrotta. E da lì è nato il nome del gruppo.

Perché un nome al plurale, se la casa da cui tutto nasce è una sola?
Il nome del gruppo è al plurale perché la riflessione nasce da casa di Anisa. Ma la vicenda di Anisa si apre alle storie di tutti, è la rappresentazione di molte altre vite, di molte altre case che hanno sperimentato le stesse interruzioni. È intorno a questa idea che è nato il gruppo, e ognuna di noi proietta la propria urgenza dentro l’immagine di questa casa

Da chi è composto il gruppo?

Oltre a me e Anisa Lagji, del gruppo fanno parte anche Giada Ferraglioni, giornalista che stava già sviluppando un progetto più o meno sugli stessi temi, e poi Berenice Wasserfallen Mannello, che ha una formazione da cooperante. Berenice si occupa della parte creativa e della struttura degli incontri. Si tratta di un grande lavoro di mediazione culturale: nel nostro progetto, bisogna inaugurare un nuovo legame fra il pubblico e un oggetto artistico. Ci avvaliamo anche di collaboratrici esterne, per la parte drammaturgica ma soprattutto per quella fotografica e illustrativa, per cui fondamentale è il contributo di Alizé Ornella Van Reeth. per la parte fotografica e illustrativa e per quella drammaturgica.

Siete già andate a Orikum per la prima residenza. Ci tornerete a settembre. Quali sono i vostri obiettivi per questi due viaggi? 

Perché si va via da un luogo? Perché si torna in un posto dove non c’è niente? Un posto dove, per come lo raccontano gli abitanti, negli anni ‘90 sembrava arrivata la fine del mondo? A luglio abbiamo cercato di approfondire queste e altre domande, raccogliendo materiali per indagare il rapporto fra Orikum e le persone che vi abitano. A settembre, invece, porteremo laboratori in un liceo e in una scuola del villaggio, dove inviteremo ragazze e ragazze a pensare all’idea di casa, non solo attraverso la radio e il disegno ma anche tramite la scrittura e la creatività. Poi organizzeremo un momento di restituzione pubblica. Ci sarà un’installazione sonora a partire dal materiale audio raccolto finora, e con l’aggiunta di quello che verrà prodotto nei laboratori.

Cosa avete scoperto durante la prima residenza?
Noi non sapevamo che arrivando ci saremmo scontrate con pezzi di storia poco raccontati, ma accaduti - e quindi ancora esistenti. Quello che a me ha colpito di più è stato il racconto di uno dei naufragi del ‘97, quando una nave con 100 persone a bordo è stata affondata prima che arrivasse alle coste italiane. Nello spazio pubblico di Orikum non c’è nulla che ricordi quest’evento. Il nostro è il tentativo di mettere insieme tutti i pezzettini attraverso i racconti delle persone, cercando di proporre a questo paese uno sguardo sulla propria storia condivisa, per alla memoria collettiva e dando un invito al sogno. Al centro di tutto il progetto, però, c’è la relazione - possiamo interessare alla comunità soltanto se prima siamo noi a interessarci della comunità. Bisogna costruire rapporti di fiducia con le persone. 

Avete già idee per il futuro di Case Interrotte?
Un progetto del genere non può esaurirsi in pochi mesi. La restituzione pubblica non sarà la fine del percorso. Ci sarà sicuramente una mostra fotografica, un esperimento itinerante che vogliamo portare anche in giro per l’Italia. Ci piacerebbe arrivare nei paesi italiani dove si sono trasferite le persone che partivano da Orikum. In Toscana, a Parma, ad Altamura: in questi luoghi cercheremo degli spazi per restituire anche a quel paese queste storie dimenticate. Poi vorremmo anche fare un documentario audio, e una pubblicazione editoriale, per portare le voci di questa storia dove possiamo.

 

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