DRAGONI GREGORIO

Gregorio
Circo
Danza
Musica

DRAGONI GREGORIO

Destinazione

Rotterdam - Netherlands

Periodo
-
Tornato
Il progetto (e info su ente)

IL PROGETTO

Progetto di formazione con la frequenza del Primo Anno di studi e la partecipazione a workshop con docenti e coreografi di fama internazionale. L'università organizza   regolarmente anche delle “special week” durante le quali un coreografo ospite crea per gli studenti di Codarts una performance di danza che verrà poi mostrata ad un  pubblico dal vivo e non, al termine di ogni settimana di lavoro. L’esperienza è l’occasione per una personale ricerca che porti alla realizzazione di un nuovo metodo nella danza contemporanea creato dall’artista e chiamato F.A.T. Il processo porterà  inoltre alla creazione di  una coreografia per una studentessa di Codarts.

ENTE OSPITANTE

La Codarts University for the Arts (olandese: Codarts hogeschool voor de kunsten) è un'università professionale olandese con sede a Rotterdam che insegna musica, danza e circo. Dal 2000, la scuola forma ballerini, musicisti e circensi talentuosi e motivati per diventare veri e propri artisti, pronti a spiegare le loro ali in un contesto dinamico e internazionale.

Intervista

Come ti sei avvicinato alla danza?

Ho cominciato molto molto giovane, a tre anni e mezzo. Tutto è partito dal film Billy Elliot, e anche se ero piccolino avevo capito che muovermi era interessante, quindi ho chiesto ai miei genitori di portarmi ad una scuola qua vicino. Mi sono preso un anno di pausa in terza elementare per essere sicuro che fosse ancora una cosa di cui avevo bisogno e non fosse diventata routine, ma appena iniziata la quarta ho ripreso subito.

Sono stato all’Umbria Ballet fino al 2016, quando durante un summer intensive a Riccione ho ricevuto una borsa di studio per andare a studiare alla Scuola del Balletto di Roma. Dopo aver visto che riuscivo bene ad adattarmi a questa esperienza lontano da casa [Gregorio all’epoca aveva 14 anni, NdR] ho deciso che sarei potuto andare anche all’estero, quindi ho fatto un’audizione per l’Accademia di Basilea. Sono stato preso lì con una borsa di studio e nel 2017 mi sono trasferito lì per tre anni, diplomandomi anche con il diploma federale svizzero.

 

Quindi un percorso di studi totalizzante.

Per tutta la vita ho sempre studiato classico ed ero convinto di voler diventare un ballerino di danza classica. Questo fino al dicembre 2019 quando ho avuto il mio primo approccio alla danza contemporanea e all’improvvisazione: mi sono reso conto che mi piaceva tantissimo, me ne sono innamorato completamente.

A gennaio 2020 ho iniziato a fare audizioni per lavorare nel contemporaneo, di fatto decidendo che era quello che volevo fare da grande; sono stato preso alla ZHTK, che è il dipartimento contemporaneo dell’Accademia di Zurigo, ed ero già pronto ad andare quando poi mi è arrivata la proposta dal Codarts. Sono stato contentissimo, gli ho risposto di sì dieci minuti dopo e sono partito per Rotterdam, dove ho finito il mese scorso il primo anno di università.

 

Com’è il Codarts come istituzione, rispetto a quelle che hai frequentato in passato?

È completamente diversa da qualsiasi altra scuola in cui fossi stato prima. Una cosa che hanno in comune tutti i posti in cui sono stato prima è che non c’era tanta libertà d’espressione personale - non perché non te lo permettessero, ma perché non c’erano gli strumenti per creare un lavoro proprio.

Al Codarts mi sono trovato circondato da gente creativa a livelli incredibili, dai fricchettoni psichedelici a quelli che sono più riservati ma hanno tutto un mondo dentro ai coreografi a quelli che quando non ballano sono su una console da dj a fare musica a quelli fissati con le luci: mille stimoli.

Se prima di arrivare il problema era trovare l’ispirazione per creare, adesso è riuscire a dosare tutta questa ispirazione che arriva da fuori per concentrarla su un unico progetto. Anche gli insegnanti, ovviamente ti danno obiettivi e cose da fare, ma molto del loro lavoro è dare strumenti che poi ti permettano di creare un lavoro da solo.

Molti là dentro hanno studiato contemporaneo tutta la vita, io sono dovuto partire da zero, che è stato anche abbastanza spaventoso: un bellissimo trauma.

 

Quindi ormai sei completamente convertito al contemporaneo. Nello specifico, dove ti piacerebbe finire?

A me piacerebbe moltissimo entrare nella Hofesh Company di Londra: il loro coreografo, Hofesh Shechter, ha una visione molto atipica rispetto a quella che è in genere la danza contemporanea adesso. Per dire, durante la quarantena tutti i teatri si sono evoluti al livestream, ma limitandosi a filmare quello che succedeva sul palco: lui invece, con un pezzo che si chiama Political Mother, ha distorto la prospettiva, come se le telecamere le

avessero i ballerini addosso; anche, il tipo di movimento che cerca lui è qualcosa che sento molto mio.

Un’altra compagnia molto molto bella è la Batsheva Dance company di Tel Aviv: il direttore è un genio, un visionario: tutte le sue creazioni sono molto introspettive, non si basa sul movimento ma su tutto quello che c’è dietro, che è un po’ il modo in cui ragiono io.

In generale sono molto molto attratto da compagnie che hanno un approccio molto umano, senza troppi giri intorno a quella che è l’intenzione dietro il passo: se quello è, quello viene espresso.

Visto che che stiamo parlando del tuo approccio alla danza, so che hai anche sviluppato un tuo metodo personale, il metodo FAT.

Sì, FAT, come grasso. È sempre lo stesso discorso di mirare ad un movimento puro, senza pensarci troppo: FAT è una lezione di improvvisazione per step nella quale io do indicazioni ai ballerini, a volte partecipando in modo attivo e a volte guidando.

Ci sono vari step pensati per perdere completamente il controllo, in modo che tu sia cosciente di quello che il corpo fa ma non sia tu a deciderlo.

Noi [i ballerini NdR] tendiamo sempre a tenere tutto dentro, perché ci è sempre stato detto di non far vedere niente, ‘lascialo fuori dalla porta’, di non trasmettere niente di quello che è la tua vita privata: se devi essere felice devi essere felice, anche se magari in realtà sei triste.

Io invece lavoro con l’onestà del corpo, mi piace questa cosa di essere totalmente se stessi, dunque li lascio liberi ed escono delle cose sensazionali.

C’è un passaggio molto divertente che fa storcere il naso a tutti i ballerini ma a me piace moltissimo: gli dico sempre di sentirsi il corpo come se fosse un cappotto di pelle cinque taglie più grande: questo porta a delle inerzie, nel movimento, impressionanti.

Poi, ovviamente, non svelerò tutto [sorride].

 

Gregorio Dragoni

 

Gregorio Dragoni

 

Gregorio Dragoni