Fabrizio Bellomo

Fabrizio Bellomo

Destinazione

TIRANA - Albania

Periodo
-
Tornato
Il progetto (e info su ente)

Dopo un primo periodo di residenza in Albania presso il centro artistico TIRANA ART LAB ad aprile 2015, Bellomo ritorna a Tirana grazie a un secondo invito da parte del centro artistico per terminare il lavoro di ricerca iniziato e quindi per la realizzazione di una mostra/evento finale da allestire negli stessi spazi del Tirana Art Lab.

La ricerca è legata al rapporto uomo-macchina e in Albania il progetto di mostra per il Tirana Art Lab consisterà nella realizzazione di una serie di azioni artistiche mirate al mettere in commistione il mondo del lavoro classico con i lavoratori parte dell'odierna macchina dell'industria culturale albanese – entrambi i mondi infatti non prescindono da questo forte rapporto uomomacchina.

ENTE INVITANTE

Tirana Art Lab è stato fondato nel 2010 con lo scopo di promuovere artisti emergenti in Albania. Supporta nuove produzioni di artisti nazionali e internazionali: comprende un ampio spettro di eventi culturali di arte contemporanea, come ad esempio mostre e residenze d'artista, oltre a festival di cinema, workshop, conferenze, concerti e pubblicazioni d'arte.

Fornisce uno spazio multifunzionale con possibilità espositive, una biblioteca e strutture per ospitare in residenza gli artisti.

Intervista

di Antonietta Zaccaro

Il tuo soggiorno è appena iniziato, com’è stato l’impatto con il mondo cinematografico e lavorativo albanese?

Sono mondi che conoscevo già... Da Marzo a Maggio sono stato in Albania per girare un film in co-regia con l'amico e artista Niko Angiuli ed è in questa occasione che ho incontrato per la prima volta i lavoratori della rotonda di Tirana, della "dogana" come viene ancora chiamata questa rotonda dagli abitanti della capitale albanese, arrivando dalla Durazzo-Tirana questa è la prima scena che si vede quando si arriva in città. Una scena quasi surreale, decine di lavoratori, ognuno con al proprio strumento di lavoro, che si mettono in "vendita". A rendere la scena ancor più epica nella rotonda è piazzata una grande aquila a due teste che di notte si tinge di rosso grazie a un'illuminazione artificiale. Sono ovviamente contesti, il cinema e il lavoro, molto diversi, ma in entrambi si percepisce la presenza di uomini-macchine, il rapporto molto stretto che gli uomini hanno con i propri mezzi.  Dal lavoratore della rotonda che accanto a se ha il proprio strumento di lavoro (martelli pneumatici, seghe circolari, ecc…) che lo caratterizza e ne determina la professione, alle maestranze di cinema e televisione, il cameraman (videocamera), il fonico (imbragato con la sua strumentazione elettronica), montatore e post-produzione (al pc e ad altre apparecchiature). I parallelismi fra lavoro e mondo  culturale mi interessano da un po', anche in seguito a precedenti lavori come Abbi cura della macchina su cui lavori è il tuo pane!, un'installazione pubblica che ho realizzato nel 2012 a Sesto San Giovanni su commissione del Museo di Fotografia Contemporanea. In occasione di questa grande installazione e in collaborazione con Arci e il Museo organizzai anche un incontro/confronto in cui invitai alcuni operai protagonisti delle storiche occupazioni di fabbrica a Sesto San Giovanni e i "lavoratori della cultura e dello spettacolo" (così si facevano chiamare) che in quel periodo occupavano teatri e musei.

Il tuo progetto si propone di mettere in correlazione due mondi opposti, il cinema e il mondo del lavoro sommerso, raccontaci il tuo approccio.

La relazione sarà prima di tutto nell'analisi di questi due mondi, quindi dell'animale uomo in generale. L'uomo e i suoi strumenti, ogni strumento , dalla clava allo smartphone,  sono amplificazioni di qualcosa, di qualche caratteristica umana. La clava, ad esempio, amplifica fattori fisici dell'uomo. Lo smartphone, i pc e la tecnologia, di contro, amplificano qualcosa di più cerebrale. Ultimamente sto pensando molto a come la tecnologia si rapporta alla memoria dell'uomo.

Cosa ti aspetti da questo soggiorno?

Come da ogni progetto mi aspetto prima di tutto incontri e confronti.

Resoconto

Sei tornato dall’Albania, raccontaci com’è andata!

L'Albania è un posto strano, o meglio è Tirana a essere un posto davvero strano, in tutto, fra il film girato in precedenza, la residenza e mostra presso il Tirana Art Lab (realizzata anche grazie al contributo di Movin'Up), ci ho vissuto per 3 mesi, e non sono pochi. È andata molto bene, ma per un po' voglio stare lontano dall’Albania. Lavorare a Tirana è tanto stimolante quanto stancante, è una città ricca di contraddizioni. Ha diversi quartieri molto interessanti, orientarsi nella città non è affatto semplice – da ogni strada principale parte un groviglio di stradine schiave dell'architettura scomposta che caratterizza la città –, le strade interne ai quartieri vanno solo dove l'architettura ha lasciato spazio. È un inferno di traffico e cemento. Ma è bella anche per questo e per fortuna ero li in motocicletta! Il mio quartiere preferito si trova dietro il mercato centrale, chiamato anche (traduzione) Bazar delle Biciclette, è un quartiere mercato a cielo aperto, ma qui le specialità non sono culinarie, ma sono biciclette, motocicli e meccanici che si occupano di esse. Trattorie con vecchie signore dietro ai fornelli e ottime pasticcerie. Non capirò mai perché un dolce tipico di Tirana è questo trilece – un dolce di chiaro stampo portoghese o sudamericano, presente in tutte le pasticcerie e in molti ristoranti: un altro tassello della stramba e confusa identità albanese contemporanea. Non sono mai stato in Cina ma me la immagino come una grande Tirana.

Com’è stato accolto il tuo progetto dai lavoratori della rotonda di Tirana?

Con i lavoratori della rotonda, della dogana, il rapporto è stato, com’è giusto che sia, complicato e altalenante: curiosità e diffidenza verso l'intruso (io), sono cose che vanno di pari passo in queste situazioni, credo, però, di essermela cavata e di aver lasciato un buon ricordo di me. Con altri il dialogo come lo scontro e la discussione verbale sono stati più duri, ma il tutto ugualmente stimolante. L'installazione che ho realizzato con uno di questi lavoratori è rimasta, come opera permanente, nel luogo dove di solito queste persone si mettono in vendita. È diventata il segno di tutte queste relazioni. Vegla Bën Ustain, "lo strumento fa il mastro", è stato scritto da uno di questi lavoratori con il solo utilizzo di un martello pneumatico come penna: su questo monito alcuni erano concordi e altri no, si è creata così una discussione oltre che con me anche fra di loro. La performance che ha portato all'installazione è stato documentato cinematograficamente.