IRENE BRIGITTE

Musica

IRENE BRIGITTE

Destinazione

Porto - Portugal

Periodo
-
Tornata
Il progetto (e info su ente)

IL PROGETTO

Il progetto mira a dar voce al repertorio rinascimentale lusitano attraverso la selezione di repertorio del XVI secolo inedito, la ricerca di un’interpretazione storicamente informata e, infine, la sua registrazione. I seminari e le produzioni coinvolgono musicisti da diversi paesi (Spagna, Portogallo, Italia, Inghilterra) sotto la guida del ricercatore Pedro Sousa Silva. All’interno di tale progetto è
inserito anche la reinterpretazione di stilemi antichi da parte di compositori moderni portoghesi, come Manuel Pedro Ferreira.

ENTE OSPITANTE

Il CESEM è un'unità di ricerca impegnata nello studio della Musica e delle sue correlazioni con le altre arti e i campi sociali e culturali, affrontando una varietà di approcci e impegnandosi con le più recenti prospettive e tendenze metodologiche nelle Scienze Sociali e Umane.

Intervista

ESERCIZI DI ARMONIA

Intervista a Irene Brigitte Puzzo
 

Come ti sei avvicinata alla musica antica?

È stato un colpo di fulmine. Avevamo appena acceso la radio, stava passando un concerto ormai al bis, e una voce accompagnata dal liuto ha intonato “Che si può fare” di Barbara Strozzi. Ne sono rimasta catturata. Mi ha emozionato subito, nonostante le armonie fossero fuori dagli schemi della musica tonale a cui siamo abituati, il brano suonava familiare e allo stesso tempo lontano. Questo innamoramento mi ha spinto conoscere di più il repertorio precedente Bach ed è nato il desiderio di studiarlo e valorizzarlo. Pian piano, mi sono inserita in quel filone di ricerca noto come Historically Informed Performance (HIP) sviluppando un lavoro di riscoperta, uno studio filologico e storico che mette in luce anche il contesto in cui questa musica veniva eseguita.

Tale approccio incide anche nelle scelte pratiche ed estetiche. Ad esempio, nel progetto portoghese che ha portato alla realizzazione del disco “In Splendoribus”, si è scelto di leggere da copie dei manoscritti invece che da trascrizioni moderne. Un’operazione che obbliga a interiorizzare le specificità delle fonti originali, relative sia alla scrittura sia all’organizzazione dei contenuti. Inoltre, poiché abbiamo registrato nella cantoria di una chiesa, in fase di editing è stato utilizzato solo il riverbero naturale di quello spazio, senza effetti digitali extra. Per fare ciò i tecnici hanno lavorato sulla disposizione dei musicisti e dei microfoni in modo da restituire l’acustica di quel luogo. Ciò non significa rinunciare alla complicità della tecnologia. Marco Conceição e Tomás Quintas hanno utilizzato appositamente il microfono NEUMANN KU100 a testa artificiale per realizzare una registrazione 3D, e rendere il risultato ancora più fedele alla performance in loco. Tale ricerca di un compromesso con il nostro tempo e con la forma in cui le persone oggi fruiscono della musica, mostra un’altra volta come il lavoro di “scavo” nel passato trovi nella tecnologia un’alleata fondamentale per la divulgazione.

 

Come mai il Portogallo?

La “folgorazione” di cui raccontavo all’inizio, mi ha portato a iscrivermi al Conservatorio di Vicenza “Arrigo Pedrollo”, attraverso il quale ho poi potuto fare un Erasmus all’Esmae di Porto e approfondire il repertorio iberico. La pandemia, e tutte le precauzioni che sono state prese nella mobilitazione internazionale, ha fatto sì che rimanessi in Portogallo molto più tempo di quanto avessi previsto. È stato così che ho potuto consolidare la collaborazione con dei colleghi dell’Esmae che formavano un consort di flauti storici, ossia strumenti in vari registri (il più grave raggiunge i due metri di altezza). Stavano facendo un lavoro di ricerca basato sulla pratica della solmisazione, un sistema che costituisce la grammatica essenziale della musica rinascimentale. Non sempre è studiata dai suoi interpreti e, infatti, avevano qualche difficoltà a trovare una cantante… ed è così che abbiamo iniziato a collaborare per un progetto di laurea di uno loro, Carlos Sanchez. Poi un progetto tira l’altro, ed è arrivata la collaborazione con il Cesem, l’istituzione che mi ha invitato a fare il disco dedicato alla musica rinascimentale portoghese di cui dicevo prima.
 

Cosa significa fare musica storicamente informata?

Significa farsi tante domande, e ipotizzare qualche risposta. Per esempio: come leggevano la musica nel XVI secolo? Studiando i trattati dell’epoca, si può capire come il linguaggio musicale si basasse su un modello di sei note (esacordo) che poteva cominciare a tre altezze differenti (esacordo naturale, molle e duro). Attraverso la solmisazione si “muta” da un gruppo all’altro, mantenendo l’ordine di tono/semitono del modello. Questa pratica è facilitata dalla visualizzazione dei suoni sulla mano (la cosiddetta mano guidoniana) e dalla pronuncia delle sillabe (ut-re-mi-fa-sol-la), alle quali era inoltre associato un carattere (soave, aspro, e così via). Risulta evidente che l’interiorizzazione di tale grammatica, come in ogni traduzione, cambi radicalmente l’interpretazione del linguaggio rinascimentale. Per farlo bisogna, appunto, informarsi e praticare. 

Anche lo studio del contesto è fondamentale. La musica lusitana che abbiamo registrato è sacra, e sappiamo che all’epoca la formazione musicale di un chierico durava anche dieci anni, facendo largo uso della trasmissione orale. Il ruolo della memoria era, infatti, centrale e a volte spiega come mai non sentissero il bisogno di scrivere tutto. Un interprete deve sapere che non potrà leggere questa musica con gli stessi occhi con cui decodifica la partitura di un autore romantico, che indicava con precisione cosa eseguire e come. Quindi bisogna, un’altra volta, farsi delle domande e trovare altrove l’informazione che manca, se si è fortunati.

 

Quanto è importante la performance live per questo tipo di musica?

Fondamentale. Mi è capitato di fare concerti di repertorio sacro nella cantoria dell’Igreja de São Bento da Vitória, in alto, lontano dagli sguardi delle persone. Al pubblico la musica arrivava solo attraverso la vibrazione emessa dei nostri corpi, presenti ma non visibili. Un’esperienza eterea, che qualcuno potrebbe paragonare all’ascolto di un disco. Eppure quella interpretazione stava accadendo lì, nella bellezza suggestiva di quell’architettura, dove anche il silenzio è musica. Un momento di presenza, non replicabile.

Inoltre, come spiegavo prima, nel caso dell’ensemble Arte Minima si utilizzano le fonti originali. In tale repertorio significa, per esempio, che ogni musicista ha di fronte solo la propria linea melodica. Non è come la partitura di un coro moderno, in cui si può leggere cosa sta facendo un’altra voce. Non si vede la parte degli altri, la si ascolta. Nella migliore delle ipotesi viene anche in aiuto la memoria aurale, che permette di ricordarsi ciò che si è sentito durante le prove. Si crea una sorta di partitura mentale, risultante dalla fedeltà alla propria melodia come dalla comprensione della sua funzione rispetto alle altre. Tale profonda intesa non sarà mai uguale. È un esercizio di equilibrio e di armonia – in tutti i sensi – e anche un atto politico. Saper interpretare la propria voce riuscendo ad ascoltare quella degli altri, è un’arte che può ispirare atteggiamenti diversi nei contrasti in musica, come in parlamento.

 

in splendoribus

 

in splendoribus concerto

 

in splendoribus