LUPARIA MARCO
LUPARIA MARCO
Parigi - France
IL PROGETTO
Percorso di alta formazione con obiettivo il conseguimento della laurea biennale in batteria jazz e musiche improvvisate. Il periodo di studi, dopo selezione teorica e pratica, ha preso avvio a settembre 2021, il primo anno del Master terminerà con un esame/concerto a giugno 2022.
ENTE OSPITANTE
Il Conservatoire national supérieur de musique et de danse de Paris (CNSMDP, in italiano Conservatorio nazionale superiore di musica e di danza di Parigi), noto più semplicemente come Conservatoire de Paris, è uno storico conservatorio parigino. Trova le sue origini nel Conservatoire de musique fondato il 3 agosto 1795 dalla Convenzione Nazionale. È stato ed è tutt'oggi un punto cardine della musica classica francese ed europea.
MUSICHE IMMOBILI
Intervista a Marco Luparia
Perché hai scelto Parigi, dopo l’Olanda?
Quando ero in Olanda - il triennio l’ho passato a L’Aia - mi era capitato di incontrare dei ragazzi che studiavano già a Parigi, al Conservatoire National Supérieur, musicisti con cui ora sto lavorando a un disco in uscita a gennaio. Li avevo sentiti suonare ed ero rimasto molto affascinato dalle loro composizioni ed il loro modo di improvvisare. Mi hanno suggerito di tentare un’audizione per il biennio: e così nel 2021 ho deciso di iscrivermi. Al momento sono l’unico studente italiano del dipartimento jazz e mi trovo in un ambiente davvero molto stimolante.
La tua ricerca verso le tradizioni musicali non occidentali sta continuando?
Sì, ma in maniera diversa rispetto a prima. Per quanto riguarda l’Indian Carnatic Music - tradizione musicale del Sud dell’India che si focalizza sullo studio del ritmo attraverso il solfeggio vocale - dopo averla approfondita per tre anni in Olanda l’ho un po’ lasciata da parte. Avevo bisogno di cambiare. Quello studio però mi è stato molto utile: la tradizione musicale si sviluppa in strutture molto lunghe, ed è costruita su cicli ritmici molto più complessi di quelli a cui siamo abituati. È una cultura musicale che sviscera le possibilità ritmiche attraverso un sistema compositivo quasi matematico. Adesso continuo a studiare altre musiche extra-europee: a Parigi, per esempio, sto suonando in un’orchestra di Gamelan, musica tradizionale indonesiana in cui si utilizzano solo strumenti a percussione.
Da percussionista, quanto è importante per te questo lavoro di contaminazione?
Per me l’ibridazione fra diverse culture musicali è fondamentale. Non intendo appropriarmi di quelle tradizioni, ma penso che un esercizio del genere sia molto utile per superare una visione eurocentrica della musica. Ci sono culture musicali che da millenni sono rimaste intatte e che racchiudono in sé concetti veramente molto distanti dall'estetica moderna.
Quale caratteristica di queste culture artistiche ti colpisce di più?
Sono molti gli elementi di attenzione. Soprattutto, mi colpisce che si tratti di musiche per certi versi immobili. Se ci riflettiamo un attimo, capiamo subito come per noi - abituati alle strutture occidentali - la musica abbia sempre una direzione, un’armonia che va da un punto “A” a un punto “B”. Per loro invece è diverso: i suoni hanno dimensioni più verticali, le strutture sono molto più stratificate.
Oltre all’improvvisazione e allo studio, come sta procedendo il tuo percorso di formazione artistica?
Dal punto di vista lavorativo, ho un’attività artistica spezzettata in diversi progetti. Quest’estate ho pubblicato “Live Fast, Die a Legend” un disco con Fade In, un trio che porto avanti da tempo in collaborazione con Pietro Elia Barcellona al contrabbasso e Federico Calcagno al clarinetto e clarinetto basso. Siamo un gruppo senza leader che lavora su composizioni originali di tutti e tre i componenti: ormai siamo molto affiatati, mi viene molto “facile” suonare con loro. In Francia, invece, ho lavorato su tutt’altro: ho approfondito lo studio e la pratica di sonorizzazioni per balletti e film, la scrittura per orchestra, ed ho continuato ovviamente a studiare nuove correnti musicali - come la musica Gamelan di cui parlavo prima, ma anche la musica giapponese. Quest’ultima ha avuto molta influenza sulla scrittura delle composizioni presenti nel prossimo disco che uscirà a gennaio con masnä, il mio sestetto italo/francese.
Cosa ti ha insegnato lavorare anche su questi nuovi format?
Ho potuto vedere alcune cose da una prospettiva differente, dove la musica deve coniugarsi con altre discipline. Lavorare per sonorizzazioni, per esempio, è molto diverso che suonare un concerto. La musica non è più la sola protagonista dello spettacolo, ma è una componente fondamentale della performance che prende il centro della scena. Dal punto di vista creativo, questo approccio è molto stimolante dato che ogni artista mette sul tavolo un bagaglio di esperienze spesso molto differenti. La parte migliore di questo processo sta nel riuscire a trovare un piano su cui le varie forme espressive possano comunicare in maniera fluida. L’utilizzo del computer e di supporti elettronici offrono molte possibilità creative, giocando spesso un ruolo fondamentale nell’interazione fra performers.