RAMELLA PIERO

Danza
Teatro

RAMELLA PIERO

Destinazione

Lisbona - Portugal

Periodo
-
Tornato
Il progetto (e info su ente)

IL PROGETTO

Partecipazione al primo blocco del PACAP 5 curato dal coreografo portoghese João Fiadeiro. Il progetto prevede immersione nella ricerca, sperimentazione ed applicazione della “Real Time Composition”: una pratica (teoretica) ed una teoria (pratica) relativa all'improvvisazione e la composizione coreografica che si propone come uno spazio con il solo obbiettivo di accogliere le forze in gioco in ogni istante in quello che convenzionalmente chiamiamo presente.

ENTE OSPITANTE

PACAP è un programma di creazione rivolto a studenti e professionisti delle aree artistiche, che intendono investire in un periodo di sperimentazione avanzata, armonizzandolo con un'indagine teorica e l'esercizio delle pratiche del corpo e del movimento. I partecipanti hanno l'opportunità di sviluppare un progetto, lavorando per un certo tempo su un potenziale spazio di condensazione dei contenuti che promuove l'indagine, la creazione e la presentazione pubblica.

Il programma combina lezioni di body practice, seminari teorici condotti da artisti e accademici e coaching, con l'obiettivo di attivare le risorse dei partecipanti, alimentare i loro processi e consentire l'opportunità di testare metodi e scoprire paradigmi, forme di collaborazione e presentazione, che configurano uno schizzo di pratica personale nel campo delle arti performative.

Ogni edizione del programma ha una durata dai 4 ai 9 mesi, con la curatela di un artista del campo performativo. In questo modello, l'esercizio della maturità, dell'autonomia e del senso di auto-interrogazione, sono i valori che permetteranno di guidare un percorso personale illuminato, basato su una relazione di livellamento e condivisione.

Intervista

IL TEMPO DEL NON SAPERE

Intervista a Piero Ramella

 

Perché hai scelto di partecipare a un progetto di formazione?
A spingermi verso questo progetto sono state soprattutto l’esperienza e le teorie di João Fiadeiro. Negli ultimi anni, questo coreografo ha creato un sistema specifico di pratica e analisi dell’improvvisazione teatrale e coreografica chiamato Real Time Composition. Di solito, workshop del genere durano al massimo 5-10 giorni. In questo percorso di formazione, per la prima volta, un gruppo eterogeneo di artist* ha dedicato 3 mesi allo studio e allo sviluppo di questa tecnica. 

 

Cosa c’è di particolare nella real time composition?
Il grande vantaggio è dare ad artist* con background diversi uno spazio comune per incontrarsi. Perché si tratta di cercare di sospendere l'applicazione delle proprie conoscenze pregresse per cercare nuove prospettive comuni. Infatti, questa è una tecnica che ha molto a che fare con il non sapere. Si tratta però di un non sapere condiviso, in un tempo nuovo. Una delle domande attorno a cui ruota la Real Time Composition è: come faccio a trovare tempo dentro al tempo? Si tratta di intensità, del tempo. Il momento in cui il tempo si dilata, il momento in cui sono io a essere presente al presente. L’ipotesi di lavoro è che questo tempo sia proprio quello del non sapere.

 

Come spiegheresti questa tecnica a persone che non ne hanno mai sentito parlare?
Se dovessi riassumerla in breve, direi così: che la Real Time Composition è un’ipotesi di lavoro, basata su un insieme di step, che offre la possibilità di partecipare a una pratica comune senza sapere in anticipo a cosa si sta partecipando. Si tratta di costruire un gioco insieme, senza però decidere prima di quale gioco si tratta. Come se, davanti a una palla, invece che dirci: giochiamo a calcio, ci fermiamo. Poi ci guardiamo e ci chiediamo: cosa possiamo fare con questa palla? Io ci vedo un forte paragone con la democrazia. Ci troviamo insieme con immaginazione diverse, esperienze diverse, background diversi, ma dobbiamo trovare insieme un gioco che costruiamo insieme e non appartiene a nessuno. 

 

Durante le performance, c’era qualcosa di materiale da cui partire?
Sì, il metodo più semplice era partire da oggetti comuni, elementi che tutti possono riconoscere e mettere in discussione. Ma la cosa più interessante  è stata lavorare sul territorio. Siamo andati in giro per il quartiere a cercare oggetti con una storia, portandoli nello spazio e scoprendo come quello che genera in me un’immaginario, ad altri ne genera un altro. Ognuno portava il proprio percorso, il proprio background.

 

E tu con quale background arrivavi a questa ricerca?
Per quanto riguarda la Real Time Composition, mi era già capitato di collaborare con una coreografa che insegnava questa tecnica. Il mio background è molto in linea con quella che secondo me è una delle maggiori potenzialità di questa pratica, e cioè la possibilità di muoversi attraverso varie discipline connettendole fra loro: sono una persona che è passata dalla filosofia del linguaggio alle arti performative, passando prima per le arti visive

 

Per chiudere, come siete riusciti a trasportare tutto questo in un teatro?
Alla fine dei tre mesi abbiamo messo in scena tre performance differenti create a partire da questa grammatica, declinandola in dispositivi più adatti alla spettacolarizzazione rispetto al lavoro in studio. Per noi è stato anche un modo di mettere in dubbio che cosa fosse il teatro, che cosa fosse il pubblico. Come sempre nella ricerca artistica, la difficoltà è rendere accessibile a chi è estraneo al processo la parte performativa del processo stesso. La risposta del pubblico, però, è stata molto buona. La sfida è stata portare questo lavoro in teatro senza interrompere lo studio della Real Time Composition, ma al contrario per continuare a porci le stesse domande domande in un contesto differente.  

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