Rigon Silvia

Rigon Silvia
Teatro

Rigon Silvia

Destinazione

Parigi - France

Periodo
-
Tornata
Il progetto (e info su ente)

IL PROGETTO

Partecipazione agli Incontri Internazionali di Giovani Creatori dello Spettacolo nell'ambito della 16a edizione del Festival TransAmériques con la presentazione del proprio lavoro. Riunendo una ventina di giovani professionisti dai 25 ai 35 anni provenienti dal Canada e dall'estero, gli Incontri sono un seminario in cui i partecipanti sono invitati ad approfondire la loro riflessione sulla creazione contemporanea, a confrontarsi con la realtà artistica condividendo la propria esperienza tra coetanei.

ENTE OSPITANTE

Il Festival Transamerique ha compagnie provenienti da qui e dall'estero. Il Festival offre una programmazione audace e innovativa nella danza e nel teatro. Un importante raduno molto stimato, questo festival unico offre al pubblico un'impressionante vetrina di opere che riflettono le principali tendenze internazionali nell'arte contemporanea.

Intervista

Che esperienza è stata al Festival TransAmérique?

Un’opportunità enorme. Tanti giovani artisti presenti hanno avuto modo di incontrarsi, assistere a spettacoli, fare workshop insieme e condividere la pratica artistica, nella cornice del più grande festival per le arti performative del Nordamerica.

È stato importante innanzitutto dal punto di vista artistico: per lo scambio di visioni e soprattutto di pratiche specifiche. Osservando gli altri, ognuno ha potuto mettere da parte qualcosa per sé. Io ricordo particolarmente una coppia di artisti di Haiti, entrambi molto legati ai riti Voodoo, la cui pratica mette in scena la possibilità di creare una nuova ritualità laica in grado di produrre un cambiamento sociale e politico, il tutto a partire dal loro mondo spirituale.

È stato importante da un punto di vista politico: per la grande vocazione decoloniale del festival, che in un paese come il Canada, ricco di comunità minori, invita a riporre un’attenzione particolare alla natura e alla provenienza dei canoni della pratica teatrale. Questo aiuta a mettere in discussione le strutture all’interno di cui si opera in quanto artisti.

È stato importante da un punto di vista umano: per i legami personali che si sono creati fra gli artisti. Legami che si sono sviluppati anche finito il festival: io sono tornata proprio settimana scorsa dalla Germania, perché un ragazzo tedesco ha coinvolto me e una ragazza canadese della comunità francofona in un progetto di teatro in movimento in barca, finanziato dalla fondazione Bosch.


 

Hai usato molto la parola pratica. Quanto è importante il fare nel teatro?

Fondamentale. Prendo ad esempio l’incontro con Nadia Beugrè, una coreografa ivoriana molto riconosciuta. Beugrè era al festival per presentare un suo spettacolo e non ha voluto incontrare noi artisti in una tavola rotonda, né in un incontro formale, ma soltanto in un workshop. Questo perché, ha detto, in quanto artista voleva incontrarci da artisti, e il suo linguaggio artistico è il linguaggio del corpo, per cui voleva conoscerci attraverso i nostri corpi, e non ascoltare le nostre parole. 

I nostri corpi sono lo strumento che fa emergere chi siamo, senza doverlo dire. Abbiamo fatto con lei un esercizio molto semplice: togliere i vestiti senza l’uso delle braccia, e poi rimetterli. È un lavoro fisico, concreto, sul cambio di prospettiva, che serve a ripulire il corpo e a rincontrare se stessi liberi da alcuni automatismi.

In questo senso lo scambio di pratiche è fondamentale, perché la pratica, il fare, è quello che ci distacca dall’automatismo, dalla ripetizione di un discorso artistico e politico fattosi ripetitivo. L’incontro di pratiche ti ripulisce, e ti permette di sviluppare un nuovo discorso.


 

Si può fare teatro senza corpo?

Io credo che esistano tantissimi tipi di teatro, e che si possa fare teatro senza corpo, ma dipende anche da cosa intendiamo per corpo. La musica, la parola, sono sempre legate al corpo. Io, di mio, penso che il corpo sia fondamentale: vedo il teatro come un rito laico, come una connessione a una dimensione più profonda dell’essere umano, in cui il corpo è fondamentale proprio perché è l’essere umano.

Tutto questo, ovviamente, ha anche a che fare con la dimensione dello spettacolo dal vivo, dove corpi, esseri umani, possono incontrarsi e riprendere a scambiare.


 

Nella presentazione di un tuo progetto su Le mille e una notte, scrivi “Una donna che racconta storie, può finalmente condividere anche la propria?” Ci aiuti a rispondere?

È una domanda ancora aperta a cui è complesso rispondere, ad esempio nel contesto teatrale italiano la questione della rappresentazione di genere rimane problematica, soprattutto nelle figure della regia, della drammaturgia e della direzione artistica. Abbiamo sette teatri nazionali e ad oggi non c’è mai stata una direttrice artistica donna.

In questo senso, al di là della convenzione e della legge, nella prassi e nella pratica, in Italia, per una donna è più difficile trovare spazi e opportunità per raccontare la propria storia con il teatro.

Anche per questo l’esperienza del festival TransAmérique è stata significativa. Il festival ha una co-direzione artistica femminile e questo si riflette nella programmazione e nell’architettura del potere, che è particolarmente orizzontale e accessibile. Vedere modelli diversi da quello in cui ci si è formati apre scorci su nuove visioni e ci aiuta a capire come vorremmo trasformare il mondo in cui viviamo.