SEVERINO ANGELA DIONISIO, CACACE PAOLA MARIA, CUCCA CHIARA (OFICINA COMMEDIA)

Officina Commedia
Teatro

SEVERINO ANGELA DIONISIO, CACACE PAOLA MARIA, CUCCA CHIARA (OFICINA COMMEDIA)

Destinazione

Coimbra - Portugal

Periodo
-
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Il progetto (e info su ente)

IL PROGETTO

Residenza artistica multidisciplinare con lo scopo di approfondire una ricerca teatrale e antropologica sulle maschere tradizionali. Gli artisti proponenti che, da anni, portano avanti un lavoro sulle maschere di tradizione italiana interagiranno con i ricercatori portoghesi del GEFAC (Gruppo di Etnografia e Folclore dell’Accademia di Coimbra) e con altre realtà locali allo scopo di intersecare le reciproche conoscenze sulle maschere, sulle danze di tradizione e su drammaturgie e canovacci.

Obiettivi del progetto: divulgare la cultura della Commedia dell’Arte italiana attraverso lezioni - spettacolo, proporre un workshop di alta formazione sull’utilizzo delle maschere sulla scena, supportare il GEFAC per la costruzione del nuovo spettacolo teatrale, condividere le ricerche musicali, coreografiche e attoriali sulle maschere tradizionali.

ENTE OSPITANTE

Il Gruppo di Etnografia e Folklore dell'Accademia di Coimbra (GEFAC) viene fondato come organo autonomo dell'Accademia di Coimbra nel 1966.

Fin dalla sua fondazione, il gruppo ha sviluppato un lavoro esaustivo di raccolta, trattamento e divulgazione del patrimonio immateriale portoghese. Le attività realizzate investono diversi ambiti: raccolta e ricerca, trattamento e diffusione delle manifestazioni tradizionali, formazione e ideazione di spettacoli originali.

Il sapiente uso delle manifestazioni popolari in una prospettiva creativa, soprattutto negli aggiustamenti degli aspetti scenici, permette la produzione di uno spettacolo globalizzante, non tanto impegnato a demarcare le regioni, quanto ad accentuare il sentimento che ha provocato l'apparizione delle manifestazioni.

 

Intervista

Come avete iniziato? Sia nel vostro percorso personale che come sodalizio artistico.

Paola: Allora, io ho iniziato nel 2010 entrando all’Accademia Bellini di Napoli, dove ho studiato per tre anni. Dopo il diploma ho iniziato ad affacciarmi a diverse realtà della zona fra cui En Kai Pan, la compagnia del nostro maestro di commedia dell’arte, Luca Gatta, dove ho incontrato Angela.

All’epoca facevamo un training attoriale molto duro, di impronta grotowskiana: 5 ore al giorno solo di allenamento fisico e vocale, e poi preparavamo gli spettacoli. Abbiamo lavorato insieme a tre o quattro spettacoli, e ci venivano sempre assegnate maschere che interagivano come coppia comica: questa unione non l’abbiamo scelta noi, è stata scelta proprio dalle maschere.

Angela: Sì, le maschere ci hanno chiamate ad agire sempre insieme. Una volta finito il nostro tempo di ricerca con questo maestro ci siamo scelte per continuare a lavorare insieme con altri registi, fino al punto in cui abbiamo imparato a farci le maschere e ci siamo messe in proprio.

 

Quando avete fatto questo grande salto?

Paola: Era il duemila…diciotto?

Angela: Sì, il duemiladiciotto.

 

Parliamo di maschere: cosa vi ha attirato tanto verso questo strumento che si è un po’ perso nel linguaggio teatrale contemporaneo?

Angela: Le maschere ed in generale il genere della commedia dell’arte ci interessano non tanto in senso performativo stretto, per arrivare ad uno spettacolo di commedia dell’arte pura, ma come strumento pedagogico e di indagine artistico-antropologica sulla costruzione di un personaggio sulla scena da parte dell’attore.

Le maschere di fatto sono una semplificazione di tipi umani che in maschera diventano più bidimensionali, più semplici da scomporre e quindi più a portata dell’attore per essere poi ricomposti. Il lavoro che facciamo va oltre le maschere di tradizione italiana, è un lavoro di ricerca di archetipi che hanno i nomi della commedia dell’arte ma sono in realtà archetipi umani che noi cerchiamo di riutilizzare in maniera più ‘asciutta’ in altri generi teatrali.  La commedia quindi non è il nostro obiettivo finale, spesso non è nemmeno il genere di spettacolo a cui tendiamo: facciamo spettacoli di commedia dell’arte ma facciamo spettacoli di narrazione, di teatro di figura, usiamo oggetti e burattini…ma anche in questi altri generi la commedia rientra sempre.

Paola: È una grammatica. La commedia dell’arte dà uno schema molto chiaro e molto diretto. In questo modo possiamo mettere in scena uno spettacolo in tempi brevissimi, una settimana di prove, perché tutto è sempre molto chiaro: entrate, uscite, stati d’animo, come si sviluppa la vicenda, le dinamiche fra i personaggi. 

Angela: è un codice. 

Paola: Noi partiamo dalla commedia dell’arte per rappresentare un corpo molto grottesco, nel senso che rappresenta in modo molto molto chiaro la tristezza, l’allegria, l’innamoramento…

Vestire questo corpo comunica in modo molto immediato al pubblico cosa sta succedendo, è uno strumento di lavoro. 

Angela: è anche uno strumento di autonomia di lavoro: l’attore formato in commedia dell’arte è un attore autonomo, autore sempre della scena, indipendente da una regia, da un’eterodirezione: è capace di costruirsi uno spazio scenico e conosce le regole del gioco.

 

Potreste ricordare a noi profani le regole della commedia? 

Angela: Palchi di 3 metri per 4 dove quando si entra si è un corpo altro e quando si salta fuori ci si può rilassare e riassumere un’energia quotidiana: non ci sono sedie, non c’è seduta per l’attore in uno spettacolo di commedia dell’arte, c’è solo un’attivazione di stati energetici che sono molto chiari sia all’attore che allo spettatore.

Paola: C’è sempre una chiara trasformazione: abbiamo sempre chiaro cosa succede all’inizio ed alla fine della scena: in mezzo, il personaggio e la situazione cambiano.

 

Si vede che avete una metodologia molto chiara. Come l’avete espressa nel vostro lavoro a Coimbra? 

Angela: Premettendo che non conoscevamo il gruppo di lavoro: non sapevamo quante skills avessero rispetto allo stare in scena, al lavoro sul corpo, alla voce. 

Abbiamo dunque immaginato di iniziare con un lavoro teatrale abbastanza di base, in cui far interagire il gruppo con giochi teatrali di ascolto, di attenzione, d’improvvisazione, per capire come reagiva allo spazio scenico. 

Data l’ottima risposta abbiamo accelerato sullo studio delle maschere, affrontandole singolarmente per poi fargli tentare un’interazione alla fine dell’ultimo giorno. Pochi limiti: una delimitazione  dello spazio, tre regole di gioco ed una funzione della scena (con un inizio, uno svolgimento ed una fine che alla maniera del canovaccio li orientasse in cosa dovevano fare). 

La risposta è stata onestamente bella. Abbiamo scoperto di avere nel gruppo tre attori professionisti — in Portogallo ed in Europa in generale c’è un interesse per la commedia dell’arte che in Italia non esiste — ed un gruppo più informale di amatori, che però si sono dimostrati assolutamente all’altezza perché animati da un genuino desiderio di fare.

Paola: sì, non c’era quasi nessuna differenza fra le persone che si stavano approcciando al teatro lì per lì ed i professionisti inseriti in una compagnia.

Questo laboratorio ha anche confermato tutto quello che ti abbiamo detto: questo lavoro sul corpo, sui codici, dai ragazzi emergevano subito degli archetipi, delle gag tipiche. Ancora una volta questo ci ha confermato l’universalità dei caratteri della commedia dell’arte, sia a livello emotivo che psicologico.

 

Per voi personalmente come è stata?

Paola: Ci ha caricate molto per continuare in questa direzione. Ci piace molto trasmettere questa pedagogia attraverso la commedia dell’arte, e le risposte che stiamo avendo sono molto interessanti.

Angela: è un po’ come andare da qualcuno che parla una lingua ma non ha mai fatto l’analisi logica: ovviamente lui o lei l’analisi logica già la pratica componendo una frase, tutto quello che fai è dargli uno strumento che svela quello che sta già facendo e aiuta a sistematizzare il lavoro.

Uno dei gruppi che abbiamo incontrato (che porta avanti una ricerca sul teatro, la musica e le danze di tradizione portoghese veramente incredibile) ha intravisto in questa metodologia uno strumento pratico per organizzare le energie, le sequenze sceniche, le interazioni e lo sviluppo dello spettacolo tanto valido da chiederci di ritornare. Dovremmo andare a trovarli all’inizio del 2022 per guidarli nella costruzione dello spettacolo che stanno preparando.

 

Che cos’altro c’è nel vostro prossimo futuro? Sia come piani immediati che come sogni più grandi.

Paola: adesso stiamo lavorando alla nostra riscrittura de La cicala e la formica.

Angela: il materiale fiabesco e favolistico ci ha sempre toccato molto. Senza fare troppi spoiler, in questo spettacolo illuminiamo il ruolo della cicala, sempre stata vista come quella che non lavora e si gode la vita in maniera moralmente sbagliata, mentre la formica — perfettamente inserita in un sistema capitalistico di produzione e accumulazione — è considerata ‘salva’. 

Per noi la cicala è un’artista, che stava in quel momento studiando, componendo, creando: questa cosa va riconosciuta. Finché non riconosciamo che quello che la cicala stava facendo è effettivamente un lavoro e non un perdere tempo è difficile immaginare che ci siano le retribuzioni, i finanziamenti e la considerazione necessari a svolgere il lavoro artistico-teatrale con dignità.

Paola: La bellezza è necessaria, è un fabbisogno comune a tutti noi come il pane e la pasta. Curare lo spirito, curarsi della bellezza di cui gli occhi possono godere, è importante, anche a livello di società.

Angela: più semplicemente, cosa succede alla formica se tutti sono formica? Quanto la formica riconosce il lavoro di produzione artistica e culturale fatto dalla cicala, e quanto lo desidera, in fondo, nella sua vita?

 

Lezione Spettacolo

 

Arlecchino e Pulcinella

 

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