Luca Ruberti
Arti Visive
Fotografia
Grafica E Illustrazione
Altro
Luca
Ruberti
Città
Busto Arsizio
Website
Nome del gruppo
HROBOT
Nazione di nascita
ITALIA
Provincia
Varese
Età
47
Profilo
Luca Ruberti Per favore non chiudere la porta
di Gigliola Foschi
I soggetti di partenza si rifanno a un tema classico della fotografia contemporanea dai Becher in avanti: spazi industriali abbandonati e carichi di memorie che la fotografia salva dall’oblio con il suo sguardo documentario. Tutto il resto – cioè la parte più sostanziale del suo lavoro – è invece una sorta di “elogio del crossover” (1) dove niente sta esattamente al suo posto, gli incroci e le identità si moltiplicano e slittano allegramente di senso. Le immagini del giovane Luca Ruberti sono infatti dominate da una fantasiosa indistinguibilità tra realtà e finzione; tanto più che una radicale allergia a chiudersi seriose nello specifico fotografico le trascina verso la pittura e finanche la grafica (si tratta di opere realizzate su legno usando fotografia e pittura acrilica, con aggiunte grafiche a volte quasi mimetiche, a volte evidenti). Come Lewis Carroll, in Alice nel paese delle meraviglie, fonde due piani di realtà – quello razionale della veglia e quello semionirico dei nonsense – miscelandoli assieme in modo paradossale, così Luca Ruberti trasforma le sue immagini in un luogo della duplicità, dove il senso è come minimo doppio, per non dire multiplo, e allo spettatore tocca l’immaginifico compito di dipanare queste intricate narrazioni multistrato. Nelle sue opere non è più possibile segnare il confine tra realtà e immaginario, tra passato e futuro: non solo queste dimensioni si coappartengono senza escludersi a vicenda, ma anzi si sottolineano reciprocamente in un gioco aperto e un po’ folle.
Al posto dell’Alice di Carroll, che s’inoltra attraverso lo specchio in un mondo visionario dove tutto può accadere, qui alcuni piccoli e dinamici hrobot (come l’autore stesso definisce i suoi protagonisti) superano le porte affacciate sul nostro passato industriale per rianimarlo con nuovi accadimenti solo in apparenza bislacchi. Un po’ simili a divertenti pupazzi alla Depero, un po’ figurine grafiche da fumetto, un po’ alter ego dell’autore (non a caso al posto degli occhi hanno le iniziali dell’artista, ovvero una “LR”), questi hrobot si avventurano in fabbriche abbandonate e corrose dal tempo, per rivitalizzarle, per aprirle a emozioni e avventure suggerite dal loro stesso passato industriale, evocate dalle forme e dalle atmosfere che l’autore ha colto con i suoi scatti fotografici. Irti ferri che penzolano inerti dalle travi di un soffitto vengono riattivati da un robot demiurgo con scosse e saette di corrente elettrica, mentre un altro se ne sta di spalle protetto da un improbabile ombrello (Electrolife). Una cupa e obsoleta macchina respiratrice “Emerson Resucitator” pare aver davvero risuscitato un hrobot che vola verso il cielo con tanto di aureola celeste (Aahff), mentre altri piccoli compari sembrano impegnatissimi a mettere in moto strani e obsoleti macchinari di cui solo loro paiono conoscere i segreti (Ironarmars).
Per favore non chiudere la porta è il titolo della serie di questo giovane artista, ma sembra anche il grido dei suoi hrobot-alter ego. “Lasciate aperta la soglia del passato: per capirlo dobbiamo rielaboralo, dobbiamo fantasticarci un po’ su… Vi preghiamo, non distruggete quel che è stato, ne abbiamo bisogno per capire il senso della vita e della morte, ne abbiamo bisogno per giocare!!!”: sembrano volerci i dire i suoi lavori. Invito tanto più significativo se si pensa che l’autore stesso, come ogni giovane della sua generazione, tali fabbriche non le ha mai viste produrre alcunché, ma le ha già trovate dismesse, ridotte a strane rovine di un passato lontano e non più vissuto. Il suo sguardo non può dunque essere nostalgico: il rispetto per i luoghi e le cose che fotografa si traduce se mai nel desiderio di partire da lì, da quelle atmosfere, da quegli spazi abbandonati, per rielaborali con la pittura acrilica e la fantasia fino a trascinarli verso un futuro immaginario. Un futuro da favola tecnologico-futurista, più che da science fiction avvenirista, perché le sue opere non rinnegano il passato: quest’ultimo viene anzi sottolineato dalla scelta di emulsionare le immagini su un materiale vivo, caldo e antico come il legno. Degno “figlioccio” di autori già affermati – come Botto & Bruno, Loris Cecchini prima maniera, o Cuoghi e Corsello – anche Luca Ruberti crea una nuova geografia mentale un po’ reale e un po’ fittizia, che si nutre di situazioni visive ibride, e dove la surreale compresenza di elementi artificiali e naturali funziona come un volano per la riflessione.
1) Augusto Pieroni, Fototensioni- Arte ed estetica delle ricerche fotografiche d’inizio millennio, Castelvecchi, Roma, 1999, p. 28.