Marina Legovini
Corpi che sembrano fluttuare in un magma uterino e indistinto sono avvolti in un sordo abisso che li
culla. Queste tenebre rispecchiano il nostro stato d'animo risultandoci a tratti pacifiche, a tratti
inquietanti. È il tempo della profondità che ci disorienta. Il lavorio che narrano le pennellate di Marina
Legovini, sembra avere a che fare con una vera e propria forma di geologia della pittura. Ogni suo
dipinto ha infatti un legame indissolubile con il tempo e richiede un'attenta osservazione delle pellicole
pittoriche che sono state depositate nel corso di mesi o persino anni, proprio come un sedimento
stratigrafico. Si tratta di un modo di procedere che si impernia sull'esplicitazione di una dichiarazione e
la sua successiva cancellazione, intervento che si compie sia attraverso censura per sovrapposizione che
mediante lavaggio dello strato precedente. Si instaura così un dialogo perpetuo tra l'artista e l'opera che
sembrano narrarsi l'una all'altra, vicendevolmente, fino ad un ideale stato di calma che esaurisce questa
comunicazione in un silenzio eloquente. Lo scambio così diviene superfluo: per Marina l'opera, ad un
dato momento, raggiunge un culmine enunciativo diventando efficace, finita.
Alice Ginaldi