A lume spento
A lume spento
A lume spento, 2009, veduta parziale della mostra.
In una sinergia di modalità espressive, che muove dal cinema alle arti plastiche, Tedesco mette in moto un linguaggio artistico compatto e stratificato. La mostra personale a lume spento nasce come un precipitato installativo del recente lungometraggio Memoriale, due forme incarnate di una medesima idea condivisa.
In un unico ambiente artificiale, elementi scultorei e grafici interagiscono con oggetti quotidiani ed attrezzi cinematografici assemblati in modo “inintenzionale”: l'organizzarsi acentrico degli elementi compositivi nasce infatti come distruzione e rimontaggio di un lavoro precedente, senza soluzioni di continuità, riprese o ricominciamenti. L'installazione è un trasfert dal casuale al formale, secondo le stesse dinamiche con cui ci spogliamo e riconosciamo intuitivamente una nuova forma negli abiti abbandonati al suolo. A lume spento prende corpo in questo modo, assecondando quella logica del resto e del disfatto che lavora in sordina nelle realtà epifaniche. È un set residuale, in cui alberga la fragilità e la spossatezza delgi oggetti, la cui coesione è andata in frantumi. Gli strumenti di lavoro avanzano mentre il profilmico arretra, come se il materiale preparatorio avanzasse il suo diritto alla visibilità. Ma proprio nello stesso istante tuttto sembra sotrarsi al dominio degli occhi.
L'effetto d'esplosione e ricomposizione della scena produce una paradossale pulizia formale, indotta da un estremismo di schitezza e spoliazione. Una penitenza del visibile, che viene purgato nel contegno dei muri bianchi. L'inflesso crepuscolare dell'ambiente installztivo decide la mortificazione della “prima impressione”: le cose sono ridotte alla loro pura esistenza, ad una vita nuda decadente e contagiata. La “pittura abiurata” e il rifiuto dell'immaginazione come regola artistica indicuno in Tedesco una necessità di ancoraggio al reale, il bisogno di aggrapparsi all'apatia delle cose che fanno della loro funzione il loro senso. Nella metta definizione geometrica della luce artificiale, gli oggetti di a lume spento incoraggiano un “area di presenza”, aloni di influenze e scambi energetici: si fronteggaino, si mettono vicendevolmente in tensione, in un sistema di implicazioni sedate ma ancora mobili. Cose “scelte” e per nulla innocue, in balia di un pensiero artistico al limite tra un intervento ed un semplice accadere.
La zona in ombra della scena espositiva viene riempita da una vera e propria ellissi temporale. Il sonoro narrativo - che cerca di mettere in verbo la malattia linguistica dell'arte - è l'evocazione vuota e delirante di una memoria circolare, che non afferra nulla. Si presuppone un tempo di fruizione infinito, un lento assorbimento della risonanza, fino a farsi invasare da quella voce cadenzata e mono-tona. Il flusso di coscienza cantilenante snocciola l'illegalità del linguaggio artistico e la misosofia minima che lo muove – un oscurità del pensiero, una costrizione inrazzionale che ci mette però, ancora meglio della lucidità razzionale, sulle traccie del nostro essere. Tedesco sembra volere “mappare” la dispersione ed orientare la presenza all'interno di una assoluta mancanza di nomi e della sospensione dell'identità. Il monologo di Memoriale è la narrazione dell'impersonalità autoriale e del suo asservimento ad una “quarta persona singolare” (Ferlinghetti), propietà di nessuno. Il flusso di coscienza è un benedizione: scorre, mentre l'artista sta ed insiste nel proprio stato, nella medietà tra luce e oscurità, in posizione ibrida tra sapere e ignoranza.
Tedesco, appoggiandosi alla violenza dei segni, cerca di fare tabula rasa delle “costruzioni” per riportare al visibile un orizzonte di comprensione, liberare lo sguardo da ingombri e sperimentare un osservare attraverso. Nella “nuova preistoria” (Pasolini) artistica si avverte una crisi estetica, una crepa che non è più la ferita creativa, ma che si è ridotta ad uno sfacelo romantico. Allora si fa necessario un richiamo alla responsabilità del fare ed alla forza d'urto del mostrare. Ed è proprio quando tutto torna al silenzio, che sembra ronzare ancora nell'aria il motto blasfemo dell'artista che altri vorrebebro, finalmente, essere messo a tacere.
a cura di Simone Frangi