About a boy

About a boy

La prima cosa che dimentichiamo, di una persona che non c'è più, è la voce.

Non esiste una spiegazione ragionevole, o semplicemente razionale, ma è così.

Scompare prima la voce.

Poi, nella memoria, si affievoliscono le fisionomie, e dopo, a scalare, tutti quei piccoli dettagli che di cui abbiamo bisogno per tenere la forma di quella persona. Per tenerla ancora con noi, presente a noi stessi - come se, quella forma, avesse ancora un corpo, un contenuto. Come se quella voce parlasse ancora. Come se quella conversazione non fosse mai stata interrotta.

Per questo Sebastian sta parlando. Per questo Sebastian non sta solo parlando.

Mentre parla, Sebastian ha iniziato qualcosa di irreversibile: ha premuto il tasto REC del suo registratore.

Mentre parla, Sebastian ha iniziato qualcosa di incomprensibile: svela il suo cuore, il suo ritmo interno.

Colpisce e accusa i colpi di un rullante sociale spietato. Ascolta e viene incantato dalle vibrazioni marziali di una gran cassa lontana, oppure vicinissima. Forse è proprio laggiù, dentro di lui. Ma non nel petto, è nascosta bene sotto le spire del suo intestino e del suo fegato. Oppure risuona grave tra le circonvoluzioni del cervello e gli fa dire e fare cose che nessuno ha mai detto o fatto. Come per esempio, ordinare su internet un fucile a canna mozza calibro 22 e qualche manciata di granate.

Ma Sebastian ha solo diciassette anni e gli piacciono i Simpsons, sa sparare perché va a caccia con suo padre e non riesce proprio a capire cosa c'era prima del Big Bang.

Sebastian è solo, e tutto quello che vede attorno a sé colpisce duro come una batteria punk.

Sebastian non ha amici, perché è un ragazzo strano e non ha le felpe di marca.

Lui odia tutto perché vuole essere libero, e la sua scuola e la sua società lo costringono a diventare quello che non è.

Allora iniziano a rimbombare i tamburi di guerra, e Sebastian decide di armarsi e di tenersi pronto. Escogita un piano, costruisce un arsenale, individua il vero nemico, indossa le scarpe da ginnastica, quelle comode, ché ci sarà da ballare.

E preme REC.

 

About a boy è liberamente tratto da 20 Novembre di Lars Norén. Il testo è ispirato ai tragici episodi accaduti in un liceo tedesco, a partire dal diario di un adolescente assassino, e unisce a momenti di poesia struggente, una prosa clinica, ferrea nella sua umanità e nella sua piena esposizione del cuore e della mente di un ragazzino “diverso”. La storia è ambientata in Vestfalia, dove nel novembre del 2006 trenta persone, tra alunni e professori, ebbero la sfortuna di trovarsi sulla strada di un diciottenne omicida. Sebastian Bosse, ex studente del liceo di Emstetten, da sempre bersaglio dei bulli della scuola, entra armato in cortile, apre il fuoco su allievi e insegnanti: cinque feriti ed una ventina di intossicati; l'unica vittima, alla fine, non è che lui stesso: Sebastian pone fine alla sua vita là, dentro le mura-prigione della sua scuola-società. La notte precedente aveva pubblicato su Internet alcuni appunti nei quali motivava il suo gesto. Ma tutto questo sarebbe potuto accadere ovunque, qui in Italia, in America, oppure nella stessa Svezia di Norén: il nodo della questione infatti non è il dove, il come o il chi. Ispirandosi al messaggio lanciato da Bosse e alle cronache dei giornali, Norén scava nelle pieghe dell'orrore che si nasconde nella società contemporanea, cercando di capirne l'origine e di rintracciare la cultura - o l'assenza di cultura - che lo scatena. Attento osservatore della realtà contemporanea e delle possibili deviazioni della mente umana, Norén si interroga sugli abissi di umanità e disumanità che creano oggi la nostra identità e la nostra società, chiedendosi quale sia l'origine di questa nuova forma di guerra civile scatenata (e annunciata) da un giovane contro se stesso e il mondo circostante, e quale sia, infine, la vera differenza tra uomo e angelo.

Nell'allestimento ideato da Gemma Hansson Carbone il pubblico è seduto in cerchio attorno allo spazio di azione: diventa il limite ed il confine della tragedia. Diventa il testimone di un duello tra l'attrice e il musicista, tra una voce al microfono e la rocca fortificata di una batteria e la sua scheda audio. Un duello tra l'individuo e la società.

In un assedio sempre più incalzante affiorano dubbi e controsensi: cosa siamo disposti a fare per la nostra libertà? Cosa siamo disposti a rinunciare per la restare umani? Quali compromessi ci impone la felicità di una società apparentemente sicura? Cosa paghiamo veramente, quando paghiamo le rate del nostro mutuo o della televisione HD? E soprattutto, perché l'Altro ci fa così schifo?

Questo melologo è una jam session che vede scontrarsi e accordarsi ritmi, segni, significati, parole e armonie alla velocità di un cuore teenager nel pieno di una crisi esistenziale, tra l'euforia del riconoscersi libero e la triste consapevolezza che a questo mondo siamo irrimediabilmente soli. Voce e batteria eseguono una improvvisazione a scena aperta, restituendo al pubblico ogni gesto, ogni incertezza, ogni elemento di creazione e di distruzione di un concerto punk. Niente è nascosto, niente è dissimulato. Non c'è spazio, in questo concerto, in queste parole, per agghindare o camuffare le scelte di Sebastian. L'uso del microfono in questo senso diventa l'uso di una lente d'ingrandimento che permette di analizzare e osservare da vicino la grana della voce, il colpo di glottide, il sospiro, l'apnea, l'intenzione e la rottura dell'intenzione. Una lente insomma che cerca di arrivare a Sebastian e ai suoi pensieri, senza retorica, ma attraverso l'ascolto analitico della sua voce. La presenza della batteria aiuta a sottolineare questo aspetto: è una musica nuda, crudissima, che in alcuni momenti diventa semplicemente un suono. Non ci sono melodie ammiccanti. Solo ritmo, solo tempo. Il lavoro di Nicola Pedroni, inoltre, non si spinge solamente ai limiti di assoli noise o free jazz, durante tutto il melologo improvvisa assieme all'attrice Gemma Hansson Carbone manipolando, amplificando o distorcendo i suoni della sua batteria in tempo reale, trasformandoli fino a farli diventare pad, droni, loop, glitch o suoni armonici. Tutti i suoni che emergono durante il melologo derivano solo dall'uso della batteria manipolata live.

Vi è un tentativo di riportare l'azione performativa proposta alle origini del teatro – o almeno della sua struttura – impostando lo svolgersi di questa tragedia, in una sorta di arena il cui timeli, lo spazio centrale, lo spazio tra l'attrice e il musicista che si fronteggiano di fronte al pubblico, diventa il perno dell'azione: uno luogo vuoto e libero.