Metamorfosi silenziosa
Metamorfosi silenziosa
performance 2025 Montecassiano, Italia Ciò che resta Riflessione sulla performance Metamorfosi silenziosa della mostra “L’abitudine di cadere, discorso sulle donne” curata da Michele Gentili. Piazza McZee, Montecassiano, 15-03-2025. In Italia, nel solo 2024, sono state uccise 98 donne. Più di 12.000 sono state vittime di maltrattamenti familiari, oltre 8.500 hanno subito stalking e quasi 3.000 hanno denunciato violenze sessuali. Questi numeri, sebbene già drammatici, sono solo la punta di un iceberg molto più profondo. Ogni giorno migliaia di donne subiscono violenza fisica, psicologica, economica e simbolica. Una violenza spesso taciuta, normalizzata, giustificata. Alla base di questi numeri c’è una disparità strutturale che attraversa ogni aspetto della vita: lavorativo, economico, sociale, relazionale. Le donne in Italia lavorano meno, guadagnano meno, hanno carriere più fragili, ruoli di cura non retribuiti e meno accesso ai ruoli di potere. Non è una semplice questione di “pari opportunità mancate”: è un impianto culturale ancora profondamente patriarcale che produce disparità, che tollera la violenza, che relega il corpo femminile a uno spazio pubblico da giudicare, modificare, consumare. In questo contesto si inserisce la mia performance. Un’azione che trae ispirazione anche da grandi lavori del Novecento come “Cut Piece” di Yoko Ono e “Rhythm 0” di Marina Abramović. Come loro, mi sono offerta al pubblico. Vestita solo di una camicia da notte bianca, sono rimasta in piedi nella galleria per due ore. Accanto a me, un catino di rame contenente un liquido rosso simbolo di sangue, sacrificio, esposizione. Il pubblico poteva, liberamente, utilizzare quel liquido per segnare il mio corpo o la mia veste. Nessun* era obbligat*. Nessun* era legittimat*. Eppure, molt* hanno partecipato. Hanno agito. Hanno toccato. Qualcun* ha carezzato. Qualcun* ha stretto i miei polsi. Qualcun* ha decorato il mio corpo usando la zampa del proprio cane. Qualcun* ha spinto una bambina a partecipare, imponendole un gesto che non le apparteneva. Ho accolto ogni azione senza reagire, senza difendermi. Il mio silenzio è stato letto come assenso. La mia immobilità come disponibilità. Il mio corpo, come quello di troppe donne ogni giorno, è diventato spazio pubblico. Espropriato. Violato. Il bianco della camicia, inizialmente intatto, si è trasformato in un campo di segni. Quel vestito, ora sporco, racconta. Parla di libertà fraintesa. Di dominio mascherato da gioco. Di invasione dissimulata da partecipazione. Questa performance non nasce come provocazione ma come specchio. Ogni gesto compiuto su di me è un riflesso. Ogni traccia lasciata è testimonianza di quanto siamo ancora lontan* dal rispetto. Non solo dal rispetto di genere, ma dal rispetto dell’altr* in quanto altr*. Viviamo in una società individualista, competitiva, filtrata dal desiderio di possesso e consumo. Una società che ci ha diseducat* alla cura, alla reciprocità, alla soglia. Una società che scambia la libertà per diritto di invasione. E quando il consenso viene ignorato, l’altr* diventa oggetto. Quando il limite viene oltrepassato, non resta che la traccia dell’abuso. Questa veste macchiata è ciò che resta. Un corpo segnato, un confine superato, una domanda aperta. Siamo pronti a guardare ciò che abbiamo fatto?