"O" - 2013, installazione

"O" - 2013, installazione

Premessa:

L'opera "O." prende spunto dalla riflessione sul dualismo tra un punto di vista che vede lo spazio-mondo, inteso come

contenitore di tutti i corpi materiali, e quello che invece ne ricerca la qualità come tòpos, luogo necessario alla sussistenza

degli stessi.

Ora, senza voler entrare troppo nel merito della questione filosofica, la quale meriterebbe necessariamente più ampio spazio

di discussione, sintetizzo attenendomi a quella che è la mia riflessione.

Definendo uno spazio tridimensionale (euclideo), attraverso il filo di nylon ripropongo concettualmente l'idea di

mondo/contenitore, come già anticipato sopra; limitarsi a ciò sarebbe però infinitamente riduttivo se si considera ciò che

l'uomo può potenzialmente attivare all'interno di questo spazio attraverso l'esperienza e il caso.

Per questo motivo entra in gioco la conchiglia (in quanto frattale ripete la sua forma allo stesso modo su scale diverse), che

si pone come perfetto paradigma di un individuo consapevole di essere "finito", ma per natura necessariamente tendente

all'infinito, che si avvita su sè stesso crescendo, sviluppandosi e concludendosi in questo spazio.

Bisogna dunque che l'uomo abbandoni l'ideale d'infinito attenendosi a vegetare in questo contenitore? L'ombra della

conchiglia proiettata sul muro (e che completa l'opera), suggerisce invece allo spettatore che una traccia di sè oltre la morte

del corpo sia realmente possibile.

In conclusione il titolo; "O." come:

Origine sul piano geometrico, la conchiglia è infatti posizionata alla base delle rette;

come alternativa, esistere O vivere nel mondo?;

 

infine quindi come Ombra - proiezione di sé oltre il corpo.