Rimozioni
Rimozioni
Federica De Meo
Rimozioni:
08.08.2008, 2015
20.12.2008, 2015
06.04.2012, 2015
27.07.2013, 2015
28.07.2008, 2015
25.03.2008, 2015
18.05.2006, 2015 stampa C-Print, 20x30 cm cad
(Opera unica)
Ho passato tutta la mia vita a scattare fotografie. Quando ero solo una bambina mi avvicinai al mondo della fotografia in maniera del tutto ingenua, riempivo i miei rullini di immagini prive di qualsiasi forma di attenzione alla tecnica, fotografavo pavimenti, mura, persone, qualsiasi cosa attirasse in quel momento la mia attenzione. Ricordo che quando portavo a sviluppare i miei rullini dal fotografo di famiglia, quel simpatico signore che mi immortalava ogni anno con un diverso vestito di carnevale, mi chiedeva “perchè fotografi queste cose?”. All’epoca non trovavo una risposta a questa domanda, mi sembrava del tutto naturale quello che facevo e nel tempo ho capito che attravero l’obiettivo della macchina fotografica riuscivo a provare delle emozioni del tutto personali, così intime che nessuno poteva avervi accesso. Negli anni dell’adolescenza e poi della maturità, la macchina fotografica divenne un prolungamento della mia mano e dei miei occhi: grazie a lei avevo il potere di rendere eterna la mia memoria. I pavimenti e le mura lasciarono il posto alle persone della mia vita. Occhi, sorrisi, smorfie divennero il mio nutrimento e così iniziai a riempire di piccole e ingenue fotografie gli album, le pareti, i quaderni e qualsiasi altro tipo di superficie a disposizione. Negli ultimi nove anni della mia vita il soggetto ricorrente dei miei scatti è stato uno in particolare. Intorno a me, tutto parlava di lei e dei momenti meravigliosi che trascorrevamo insieme. Io amavo fotografarla e lei amava farsi fotografare. Quando qualcuno fa parte della tua vita, quando la sua presenza è viva nel tuo cuore, essere circondata di fotografie aiuta ad annullare i momenti di assenza, la lontananza che talvolta può brevemente oscurare la felicità di un amore. A volte però le fotografie possono diventare un’arma, una dipendenza, l’unica cosa alla quale aggrapparsi quando di quell’amore così impetuoso non rimane altro che un enorme solco che divide a metà il cuore di chi resta. E così ti ritrovi seduta nella tua stanza a riguardare quelle fotografie che sono più affilate di una lama, senza avere il coraggio di chiuderle in un cassetto perchè il dolore in quei momenti sembra nulla paragonato alla bellezza di uno sguardo. A lungo andare ho capito che la fotografia può essere un veleno che lentamente uccide, ma può essere al contempo un antidoto, ed è sulla base di questa presa di coscienza che ho deciso di intraprendere un lungo percorso di guarigione che mi ha portata, a distanza di un lungo anno, a dare alla luce le sette fotografie che compongono la serie “Rimozioni”. Sebbene possano essere confuse, le parole ‘rimozione’, ‘cancellazione’ ed ‘eliminazione’, hanno significati profondamente diversi. Le ultime due infatti prevedono una distruzione totale, mentre la prima rappresenta lo spostamento di qualcosa da un luogo a un altro. Questo spostamento è la chiave di tutto il lavoro che ho svolto durante questi trecentosessantacinque giorni. Un ricordo, per quanto doloroso possa essere, non può e non deve essere cancellato dal nostro cuore, perchè nel bene o nel male ha fatto parte di noi, ci ha fatti diventare ciò che siamo. Quando però questo ricordo fa così male da divenire ostacolo alla nostra felicità, nasce il bisogno di chiuderlo in un piccolo baule ben nascosto dai raggi del sole, per far si che continui a vivere con noi e lontano da noi. Perchè ciò succeda, è necessario rompere l’incantesimo che la memoria esercita sulla nostra vita, in qualsiasi modo ciò possa avvenire. Io mi sono servita dell’unica cosa che conoscevo: la fotografia. Attraverso la fotografia ho spezzato l’incantesimo, ho fatto ciò che non avrei mai creduto possibile: ho oscurato quello sguardo del quale non potevo più fare a meno.