Alessandro Facente

Alessandro Facente

Destinazione

Helsinki - Finland

Periodo
-
Partito
Il progetto (e info su ente)

Gam#5 - The Suomenlinna Episode consiste in un mese di scrittura e studio-visits con artisti e curatori locali, e/o in transito per Helsinki, coinvolti in una Spoken Words Exhibition a conclusione della mia ricerca. Nata a New York, e ad oggi al suo cap.4 americano, GAM è una serie di Spoken Words Exhibitions, che indaga il ruolo dell'artista nello spostare e condividere concetti di geografia in geografia. GAM#5 sarà il 1° episodio Europeo, e focalizzerà sull'identità di Helsinki, analizzando come la pratica di queste figure stia arricchendo la comunità locale, contribuendo alla sua evoluzione.

ENTE OSPITANTE

HIAP (Helsinki International Artist Programme) è riconosciuto a livello internazionale come il principale centro di residenza per artisti e curatori in Finlandia e tra i più attivi al mondo. La struttura è avviata e sostenuta dalle istituzioni del Paese, che da anni incoraggiano la ricerca nelle arti visive, privilegiando un approccio interdisciplinare finalizzato a sviluppare e sostenere nuovi approcci alla produzione, comprensione, studio e valutazione dell’arte.

Intervista

di Alessio Posar

Cosa ti aspetti dal primo capitolo europeo del progetto GAM [curaticism]?

In una delle interviste che rilasciai in occasione della mia residenza nel 2013 alla Residency Unlimited di New York, scrissi che appartenere a una cultura come quella europea, significa avere delle radici che affondano in un passato, le cui stratificazioni rappresentano i livelli interrati del nostro alfabeto visivo, oggi in superficie. Cioè nella contemporanietà. Avere questa prospettiva verticale, ma verso il basso, in una città come New York – giovane dal punto di vista della sua cultura occidentale dominante –, spinge a domandarsi dove si celi la storia, visto che non è possibile archeologicamente trovarla in un sottosuolo che effettivamente non ha le nostre profondità. Il progetto che portai alla RU, decisi dunque di dargli il titolo di “Notes from the surface”, ed era ovviamente ispirato al libro “Notes from the Underground” (memorie dal sottosuolo) di Dostoevskij, che ha saputo farci leggere quali sono quelle parole che useremmo, qualora dovessimo realmente indagare dentro di noi, fino agli abissi delle nostre paure e frustrazioni. Se solo ne avessimo il coraggio, la nostra immagine di fronte a uno “specchio” che ci rivela le verità nostre subconsce, questa assomiglierebbe davvero a quella tragica e disperata che l’autore dà del suo fragile protagonista. 

Rispetto al mio progetto, il mio interesse era dunque cercare di andare il più a fondo possibile, chiedendo in che modo il loro lavoro potesse rappresentare, per la città di New York, un momento riflessione profonda sulla sua identità. Un’opportunità per uscire da quegli stereotipi che la descrivono unicamente come costantemente in evoluzione e mutazione, per darne invece un’immagine di luogo dove è possibile che qualcosa di sé sul fondo della nostra interiorità possa in essa radicarsi, regalando così un pezzo della nostra profondità a chi una profondità non ce l’ha più. Ecco perché le mie “note” non sarebbero mai potute arrivare dal “sottosuolo”. Con il primo capitolo di GAM [curaticism] in Europa, posso invece lavorare in un contesto familiare agli artisti. Un “luogo” di cui si sentono parte, e in cui non hanno bisogno di trasportare nulla per sentirvisi integrati, perché tutto ciò che li circonda e su cui poggiano i piedi riflette la loro immagine. Essendo Helsinki geograficamente ben collegata con altri centri europei, mi aspetto anche che gli artisti locali assorbano molto durante i loro spostamenti. Se quindi a New York lavoro molto chiedendo cos’è che gli artisti stanno esportando dai loro paesi di origine, probabilmente qui domanderò loro, cosa invece stanno importando. 

Secondo te, quanto il luogo influenza l’artista?

Luoghi come le città, ad esempio, con i loro quartieri e comunità, sono realtà fisiche così complesse e ben strutturate nel tempo (architettonicamente, politicamente, socialmente, culturalmente), che è chiaro che hanno un’influenza sul lavoro in evoluzione dell’artista. In che modo la visione individuale del mondo e le esperienze personali possono competere con stratificazioni e stratificazioni di pensiero collettivo? Aggiungiamoci anche la difficoltà che gli artisti hanno di far arrivare i loro linguaggi alla gente comune. Insomma, gli artisti si misurano con qualcosa di molto grande come la natura, la vita e la storia (non importa se passata o contemporanea), e non solo quella dell’arte. Quella delle città, delle persone che la vivono e dei loro ricordi, comprese le culture, le immagini e le tradizioni che di essa conservano. Ma si misurano soprattutto con il contemporaneo. Con un ruolo sociale che fatica a ritagliarsi uno spazio nella vita ordinaria delle persone. Attenzione: la questione non è, al contrario, “dominare” o “influenzare” il luogo. Possiamo, al massimo, però parlare di arricchire i luoghi. Fornendoli, cioè, di una nuova angolatura da cui guardarli, che possa anche essere ferocemente critica, purché miri alla sua comprensione più profonda. 

Durante la mia ultima permanenza sulle montagne dell'Atlas in Marocco, dove curo le residenze del progetto atla(s)now, ho riflettuto su come la forza espressiva dell’adhān (la chiamata islamica alla preghiera) sia così affascinante da assomigliare a un fenomeno naturale, diventando quasi parte di esso. Ed è così infatti: ascoltando le varie moschee dialogare in lontananza l’una con l’altra; risonando, cioè, quel meraviglioso canto nel ventre di una vallata che si mostra sconfinata di fronte i tuoi occhi, tutto viene potenziato. Il paesaggio ora, assume caratteristiche che prima non aveva. Insomma, tra natura e uomo, in quel momento – cinque volte al giorno – avviene una perfetta coesistenza tra naturale e artificiale. Quando scrivo che gli artisti si misurano con la natura, la vita e la storia, intendo proprio questo. Ovvero sia, entrare in dialogo con esse, pur mantenendo le separazioni e le specificità. Non dico che l’arte debba prenderne le sembianze, ma non deve neanche semplicemente incorniciarla. Può però aspirare, come la natura – ma anche i luoghi, le città, ovviamente –,  a un'autonomia. Non importa quanto lontana da te sia – come per me il culto islamico, ad esempio –, quello che conta è però che “il visivo” abbia in sé qualcosa di universale (per senso e forma), dentro cui l’osservatore può trovare uno spazio tutto per sé, dove trovare ristoro. 

Ci parli del tuo progetto e del ruolo che hai in esso?

Espanderò il progetto a lungo termine The GAM [curaticism], una serie di “Spoken Words Exhibitions” (mostre di parole parlate), che si aprono al pubblico sotto forma di talk. Strutturate come mostre, esse hanno un concept, una visione, un obiettivo e un gruppo di artisti riuniti secondo le coerenti connessioni che uno specifico sguardo curatoriale tesse tra le loro pratiche in progress piuttosto che tra le opere concluse. L’idea di fondo è mostrare il processo attraverso cui le idee degli artisti nascono e solidificano, raccontando ad esempio come il loro lavoro si interseca con le vicende della loro vita e con le realtà che li circondano, quelle che si lasciano alle spalle, che raggiungono con i loro spostamenti, o semplicemente di cui fanno quotidianamente esperienza. L’obiettivo è quello di intercettare nella pratica degli artisti una serie di concetti che attivano riferimenti specifici, più o meno evidenti, legati alla necessità dell’uomo di spostarsi di geografia in geografia, e come in questi spostamenti ci si incroci tra individui, analizzando la capacità della sua pratica di arricchire la visione di un dato scenario.

Ecco perché The Gam. Un “Gam” è un incontro sociale tra due baleniere che avviene in mare aperto. Se ne parla nel capitolo cinquantatré del romanzo Moby Dick di Melville — riferimento che mi è tornato alla mente per via del rapporto tra l’Upper Bay e la sua vista che, dalla prospettiva di Brooklyn, si ha dagli studi della NARS - la fondazione in cui questo progetto è nato, e per cui ho ricoperto il ruolo di Special Project Curator tra l’agosto del 2014 e ottobre 2015. Essa mi ha quindi ricordato quella che Melville racconta nel primo capitolo dalla prospettiva invece di Manhattan, dalla Battery per la precisione, lì dove “migliaia e migliaia di esseri mortali, appostati dappertutto come sentinelle, perduti in silenziose fantasticherie […] fissano l’oceano”. Proprio come nel romanzo di Melville, anche gli artisti sono persi nelle loro “fantasticherie” e come in quei Gam, i loro percorsi indipendenti si incrociano l’uno con l’altro. Per avere una visione anche esterna rispetto ai concetti che discuto con loro, oltre alla mia presenza come curatore degli incontri, sono, di volta in volta, invitati differenti curatori. Il loro ruolo è quello di dare un controcampo critico alla dialettica che sviluppo con gli artisti coinvolti durante le sessioni pubbliche, costruendo dunque per GAM un archivio linguistico e visivo sempre in evoluzione. 

Questo è esattamente ciò che accadrà ad Helsinki. Coinvolgerò, cioè, attivamente artisti locali, e/o in transito per Helsinki, seguendo la loro pratica da vicino. Questa indagine si strutturerà attraverso un periodo di quotidiane studio-visits, scrittura, interviste e conversazioni con gli artisti e curatori locali o in transito per Helsinki.

Questo rapporto e dinamica che attivo tra artista-curatore è parte della mia pratica curatoriale, e definisce il mio ruolo all’interno del progetto. Essa si fonda su un costante dialogo con gli artisti finalizzato a seguire da vicino il processo di costruzione delle loro opere, discutendo con gli autori le ragioni di ogni gesto e di ogni segno, così da tracciarne un racconto, parlato e scritto, in grado di ricongiungere l’oggettualità del lavoro prodotto all’umanità del suo artefice. E’ un approccio che definisco attraverso il termine “curaticism”, ovvero una crasi fra la curatela (curating) e la critica d’arte (criticism) che identifica quelle attività curatoriali che si fondano su questo stretto dialogo tra artista e curatore. 

The GAM è dunque il primo capitolo di Curaticism i cui “sottoparagrafi” si sono sviluppati per tutto il 2014 e 2015. L’opportunità di realizzare questo episodio ad Helsinki è cruciale per il progetto stesso, in quanto dà ad esso la prospettiva futura di un progetto con carattere itinerante. Questo nuovo episodio fuori gli Stati Uniti apre infatti una nuova era di The Gam, che consiste nel esportare il progetto nelle città di tutto il mondo, dove avrò la possibilità di assemblare insieme artisti e curatori, che incroceranno il mio percorso sia geografico, ma principalmente critico, con il fine comune di riaprire il dialogo tra produzione visiva e comprensione della stessa tra la gente e le sue comunità. La costruzione di un archivio in crescita di pensieri e visioni intorno al lavoro degli artisti proposta dal progetto GAM, mira dunque a facilitare tale mediazione all’interno della generazione a cui appartengo, consegnando ad essa il grande racconto dell’arte che ci circonda, quella, insomma, che vediamo nascere e solidificare di fronte i nostri occhi.