Eugenia Morpurgo

Eugenia Morpurgo

Destinazione

New York - United States of America

Periodo
-
Tornata
Il progetto (e info su ente)

Il progetto di residenza presso il Textile Arts Center di NY si intitola Digital Wax Print. Con l’utilizzo di un plotter xy progettato dall'artista, che permette di disegnare con la cera su tessuto, a partire da illustrazioni digitalizzate, Eugenia trasformerà la tecnica artigianale del Batik in una tecnica di fabbricazione digitale. Le stoffe africane Batik sono rinomate per i colori vivaci e per la forte simbologia delle proprie illustrazioni. Attraverso workshop di co-progettazione con la comunità del TAC esplorerà quali nuove possibilità espressive, l’utilizzo di una stampa batik digitale può generare.

ENTE INVITANTE

Textile Arts Center (TAC) è una struttura di risorse con base a NYC dedicata alla sensibilizzazione e alla comprensione del tessile attraverso programmi educativi creativi per bambini e adulti.

Intervista

Che tipo di formazione hai?

In Italia ho conseguito una laurea triennale in disegno industriale, poi sono andata direttamente a frequentare la specialistica in Olanda, a Eindhoven, la città della Philips. Qui mi sono laureata nel 2011 e poi ho vissuto in Olanda ancora un paio d'anni, lavorando come libero professionista. Quindi mi sono trasferita a Parigi, tre anni fa. E nel momento in cui mi ci sono trasferita ho trovato lavoro in Italia, e ho vissuto a Venezia, che è la mia città natale, e a Bolzano. Gli ultimi tre anni li ho trascorsi qui, insegnando all'università design del prodotto e progettazione nel semestre invernale, e dividendomi per il resto del tempo fra Parigi e l'Olanda, dove ho mantenuto molti contatti professionali. 

E oltre all'università, di cosa ti occupi?

Come designer, produco manufatti frutto di una ricerca specifica rispetto ai processi di produzione, quindi non faccio oggetti che sono sul mercato, non lavoro per l'industria ma per musei e fab-lab,  laboratori nati con l'idea di offrire degli spazi con macchinari accessibili alla cittadinanza, in maniera molto aperta, per poter produrre innovazione dal basso: gruppi di designer e creativi, ma anche di cittadini, lavorano insieme per risolvere problemi piccoli e grandi, per cercare di fare innovazione partecipata. In un fab-lab io ho realizzato il progetto per una scarpa: l'idea è che l'oggetto invece di rimanere un oggetto fisico diventi un oggetto digitale, i cui disegni tecnici devono essere condivisi ; in ognuno di questi centri, poi, c'è la macchina per poterlo realizzare con una stampante 3d.

Cosa ti ha spinto a orientarti su un design ideato "dal basso" e alla portata di tutti anziché al design industriale?

Ci sono contesti dove le risorse produttive sono minime, ma ci sono grandi risorse materiali e naturali, e quindi c'è la necessità di trovare modi più sostenibili per produrre. La mia voglia di fare ricerca nasce da qui, cioè dalla messa in discussione del sistema produttivo "normale" che può essere inquinante e svilente delle materie prime e delle risorse umane, dei lavoratori. Nei fab-lab si cerca di portare appunto la produzione dal basso verso l'alto e non viceversa.

Resoconto

Che cosa puoi dirmi del tuo progetto a New York?

Si tratta di una macchina dal funzionamento semplice, ideata per disegnare sulla stoffa che riproduce la tecnica del batik, la tecnica di disegno fatto con la cera tipica dell'Indonesia che imprime sulla stoffa una sorta di "negativo". Colorando la stoffa e rimuovendo la cera, si ottiene un disegno bianco, perfettamente simmetrico e proporzionato. Piccola curiosità: sto parlando degli stessi disegni che in genere si associano all'abbigliamento africano, ma che in realtà sono stati importati in Sud Africa dai coloni Olandesi. Si tratta di motivi originari dell'Indonesia, dove tuttora vengono realizzati a mano e con la cera. La mia idea era di replicare questa tecnica tradizionale tramite la tecnologia. La nostra macchina lavora con la cera e permette di fare disegni molto più complessi e "più geometrici" di quelli fatti a mano. A New York, dove la macchina è stata fisicamente assemblata, ci sono andata per testarla. Quello che abbiamo scoperto è che possiede un linguaggio tutto suo  e che consente di fare stoffe diverse da quelle tradizionali.

Com'è stato lavorare nella Grande Mela?

Il centro per l'arte tessile si trova a Brooklyn, e ci lavora un gruppo di donne molto giovani, attivo da oltre otto anni, che studiano e realizzano ogni tipo di progetto immaginabile riguardante i tessuti. Il progetto per cui sono stata selezionata si chiama Work in Progress: oltre a permettermi di lavorare sulla mia idea mi è stata offerta ampia visibilità nei loro spazi di lavoro. Ogni sabato pomeriggio, infatti, la gente poteva venire liberamente a vedere ciò a cui stavo lavorando.

Che progetti hai per il futuro?

Affinare la precisione del macchinario, prima di tutto. E poi lavorare con dei colleghi illustratori per sperimentare motivi e disegni via via più complessi. L'altra cosa di cui mi occuperò nei prossimi mesi sarà la pubblicazione di tutta la documentazione, perché la macchina sarà completamente open source.